Dante Benini Caserama Vigili del fuoco Lecco

In ogni progetto di architettura, l’abbiamo affermato spesso in passato, si nasconde un mistero, e un impegno, quel percorso che parte dal cuore dell’uomo e si configura proprio in quel modo, come se si dipanasse un solo preciso racconto, con le giuste parole, gli accenti corretti, senza sbavature sulla punteggiatura estetica. Un vero e proprio suono, un’armonia che vibra all’unisono con lo sguardo del mondo.

Per questo motivo guardiamo a questo processo ideale come un punto d’approdo, il luogo che diventa il porto sicuro delle nostre emozioni, l’indicazione che ci racconta che è proprio quello spazio, quella geometria, il contesto vivido dove vorremmo esplicitare ogni nostra singola funzione.

“Al centro del progetto c’è l’essere umano, la moltitudine di uomini che hanno lo stesso ideale: essere con gli altri per gli altri. L’aggregazione crea forza, ed insieme benessere, speranza, sicurezza, futuro”.

Dante O. Benini

“Dentro di me è un lago, solitario, che basta a sé stesso; ma il mio torrente d’amore lo trascina giù in basso con sé − verso il mare!”

Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1883/85

In questo caso specifico Dante Benini, indaga sul piano inclinato che conduce dentro il Lago di Como, sul terreno di Lecco, e vede Il quartier generale dei VV.FF. un’architettura leggera leggera che dialoga col luogo, ma mantiene la sua originale identità, come un artificio che vuole e deve “parlare” con l’ambiente, senza alcuna volontà gerarchica, un’indicazione antropologica della dialettica: natura/cultura.

Il segno concorsuale e  progettuale non tralascia alcun particolare, come se la realizzazione successiva fosse una “consecutio” teorica del programma preliminare, e dove ogni approfondimento esecutivo fosse già prestabilito nel segno originario, un disegno che prende forma e che vive nello spazio reale.

Dante ci ha abituato, e da alcuni decenni, a gesti improvvidi, al vero piacere per l’anima che riconosce nelle sue azioni estetiche, la bellezza che abbiamo inseguito nei secoli e in ogni tempo, anche in questo “adesso” così poco incline a riconoscere queste meraviglie, perché tutto in questo progetto sembra semplice, essenziale, preciso senza inclinazioni verso ogni forma di ridondanza.

Un segno assoluto frutto definito della “geometria delle emozioni” che lo hanno prodotto fin da subito, un fondale per il lago, e per la città che lo contiene, un testo poetico che ha nelle sue parti/versi, un significato profondo che si scopre dopo una lettura attenta, complessiva.

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Nella parabola creativa di Dante Benini, il gesto artistico, l’intuizione visionaria hanno un’importanza determinante perché rappresentano l’ennesimo capitolo del suo singolare romanzo sull’estetica contemporanea, come una gigantesca composizione fatta di quartieri, uffici, ma anche poltrone o yacht, un mondo parallelo ma non virtuale dove la bellezza trionfa.

La caserma dei VV.FF. di Lecco riassume lucidamente questa filosofia non inquadrabile in nessun-ismo, come una categoria a sé, come un tracciato solitario dove gli obbiettivi, opera dopo opera, diventano sempre più chiari, evidenti.

È per tutto questo che la frenetica attività dell’architetto ormai lunga cinquanta anni, ci accompagna sempre più vicino al disvelamento del senso più profondo del progettare, del modificare i contesti pregressi, dando sempre l’impressione che ogni segno, ma proprio quel segno era esattamente quello che la Natura si aspettava, attendeva nella sua forma ideale, pensata per poter finalmente dialogare tra passato e futuro.

Dal punto di vista funzionale, l’edificio riassume alcune tipologie classiche dell’architettura contemporanea: vetrate a tutt’altezza, una pensilina che si stacca diventando un tetto ”solare” lanciato verso il cielo e pilastri di legno come alberi naturali ma progettati, che dialogano con la vegetazione, dunque la parola metodologica ci informa del programma, chiarisce ogni scelta dell’artefice.

Ma oltre all’aspetto “generativo e compositivo” non poteva mancare un segno quasi simbolico e Benini lo individua nella “torre di esercitazione”, un totem ieratico, quasi un frate che forse  guarda silenzioso il lago, un momento verticale che segna il territorio e delimita lo spazio verso l’acqua e verso la città, come una presenza misteriosa e affascinante.

Ancora una volta tutto sembra perfettamente auspicabile, invitante, e se questa vi sembra una “caserma” allora dovremmo immaginarcele tutte così: luminose, leggere, perché il compito dell’architetto è trovare quello che non c’era, e renderlo evidente, quasi consueto, in un processo intellettuale di metabolismo volumetrico e spaziale.

 In questa storia dell’architettura del tempo presente, non poteva mancare un progetto come questo, perché sintetizza ben altri interventi sia per la scala, che per la complessità stereometrica ma qui, sulle sponde di questo lago manzoniano, l’Idea risplende per la sua capacità di essere la sintesi compiuta tutte le altre opere, come se non avesse bisogno di prove muscolari, e della spettacolarizzazione come si addice ad una vera star della composizione.

Tutto in questo volume è armonia, grazia, essenza, una poesia ermetica densa e sonora, che vibra ad una frequenza che sentiamo dentro di noi, e questo è il compito più alto dell’architettura renderci migliori e capaci di godere del bello, della bellezza in tutte le sue forme.

Un piacere che alla fine è la forma più completa di benessere perché si torna ai principi dell’estetica greca in cui “il bello deve essere (anche) buono”.

Quando ci rispecchiamo in queste opere, possiamo comprendere che il cammino dell’homo sapiens non è stato inutile, abbiamo realizzato attraverso questi momenti, punti per riflettere su questo percorso evolutivo che sono superiori all’opera stessa e alla capacità dell’architetto perché rappresentano un patrimonio culturale condiviso.

Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla forza evocativa dell’architettura, guardi verso il lago, Dante Benini vi invita “tenere a mente”, a ricordare silenziosamente tutte le parole semplici per dire: bellezza.


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