La vocazione narrativa “formalista” nel lavoro di uno stesso architetto che con felice dissociazione viaggia nel tempo: tra ricostruzione dell’antico nel suo disegno magistrale e proiezione futuribile nei suoi progetti costruiti, coscienti che un’architettura sostenibile è ancora possibile, soprattutto se si esce dalla retorica declamazione “verde”.

Sergei Tchoban (Tchoban Voss Architekten, con Buro Happold), complesso per uffici EDGE in Sachsendamm, Berlino 2022.

C’è stato un tempo in cui l’accusa di formalismo costava molto cara all’accusato, specialmente se artista, poeta, musicista o architetto: che poteva finire osteggiato e messo ai margini, come nella piccola/grande polemica realismo/astrattismo dell’Italia anni ’50. O prima ancora, nella Russia sovietica, ridotto al silenzio artistico o addirittura eterno.

Formalismo, segnatamente quello russo, non è però che il dispregiativo tardivamente usato dalla feroce critica di regime per designare tutto quello che essa stessa non considerasse realismo socialista, prendendo come bersaglio negli anni delle purghe staliniane gli autori più disparati (dal critico e poeta Osip Mandel’štam al rivoluzionario regista Vsevolod Mejerchol’d), ma risalendo fino a quel movimento di sofisticata critica letteraria iniziato negli anni 20 del XX secolo proprio in Russia da autori come Vladimir Propp: che con il suo Morfologia della Fiaba (Морфология сказки, Morfologija skazki, 1928) ha creato i fondamenti per l’analisi della struttura narrativa di testi e opere, fino a influenzare le ricerche dell’antropologo Claude Lévi-Strauss e del linguista Roland Barthes.

La grande corte interna di EDGE, con le scale-ponte di collegamento tra i piani e i grandi pilastri lignei “a fungo”

Perché dunque applicare oggi, o cercare di applicare, questi raffinati strumenti di analisi critica del testo all’opera di un architetto come Sergei Tchoban? Formidabile disegnatore, appassionato collezionista di disegni d’architettura delle avanguardie e non, fondatore di un suo museo del disegno a Berlino, progettista e imprenditore, nel suo lavoro Tchoban è capace di alternare (per usare termini dell’analisi formalista) l’analessi (flashback) – un salto indietro nel tempo, per cui si narra ciò che è accaduto –  e la prolessi  (flashforward),  un salto avanti nel tempo, un anticipo del futuro: ma mentre la prima è palese nei suoi bellissimi disegni dove ricrea edifici del passato, la seconda a volte s’intreccia (in un sotto-intreccio narrativo) con la prima.

Il dettaglio di uno dei alti pilastri lignei richiama la struttura lamellare dell’imenoforo nei funghi

Come quando per realizzare recentemente a Berlino di fronte alla stazione Südkreuz l’innovativo edificio EDGE, che raggiunge e viene premiato per la sua sostenibilità con il livello LEED Platinum, Tchoban e il partner di studio Ekkehard Voss mettono in scena una visione apparentemente dissociata del presente/futuro.

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L’esterno del complesso è quanto di più solido e compatto si possa immaginare per una costruzione. Niente alberi o praticelli su balconi e tetti, ma un cartesiano mood “iperberlinese”: che, se non fosse per i materiali di facciata e l’alleggerimento visivo dato dalle superfici vetrate, potrebbe far pensare all’architettura tedesca tra le due guerre mondiali, con il suo messaggio di firmitas e durata, peraltro poi regolarmente smentite dal corso degli avvenimenti storici.

La grande corte centrale impiegata come luogo di incontro informale e socializzazione per gli utenti dell’edificio EDGE

All’interno si svela l’autentica sorpresa per l’utente e l’osservatore: una strutturazione articolata di evoluti spazi per il lavoro intorno a una grande corte centrale – questa sì alberata – con la struttura più caratteristica consistente nei grandi pilastri/tronchi che sostengono la scenografica scala di collegamento tra i piani, a raccontare l’uso del legno in funzione non retorica.

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A uno sguardo più accurato, si comprende infatti che tutto l’edificio è realizzato con strutture in legno modulare, di cui i grandi pilastri della scala sono l’espressione più plastica, ma che pervade la tettonica dell’intera costruzione. E dalla copertura dell’edificio, semitrasparente grazie alla combinazione di “cuscini” EFTE, acciaio e legno, irradia la luce solare che rende la grande corte più simile a un utopico ambiente esterno “naturale”.

La struttura in legno modulare usata anche negli interni – a vista – è scomponibile e riutilizzabile anche in caso di trasformazione degli uffici o di nuova destinazione ad altri usi.

Così si può dire che l’edificio in Sachsendamm rappresenta una sintesi ideale di Fabula e Intreccio (Фабула и Субъект, in russo) per distinguere il racconto (Fabula, dal latino) – dalla sua organizzazione temporale (classicamente cronologica), ovvero l’intreccio. Se la narrazione di un’architettura sostenibile ma anche solida, durevole, “monumentale” all’esterno e organica all’interno che Tchoban vuole qui realizzare è la Fabula del progetto, il suo intreccio è dato dall’organizzazione spaziale e soprattutto strutturale, dove il materiale ancor oggi più naturale è proprio il legno impiegato qui in versione “ibrida” combinata al cemento.

Sergei Tchoban, ritratto di Holger Talinsky.

Vero esempio di coerenza tra teoria e prassi, certificato dal DGNB tedesco (Deutsche Gesellschaft für Nachhaltiges Bauen / German Sustainable Building Council) come l’edificio più sostenibile costruito in Germania nel 2022, EDGE ha certamente qualcosa da insegnare nell’epoca attuale, in cui disciplina e arte dell’architettura sono al bivio forse più drammatico della loro storia millenaria: sparire dentro il linguaggio del progetto digitale, che fagocita ogni ispirazione e la trasforma in forme apparentemente libere ma spesso succubi dello strumento elettronico, oppure tentare una strada di conciliazione tra funzione e narrazione nella forma e nella struttura del costruito.

Dove la sostenibilità non sia solo retorica e “decorativa” ma porti con sé autentica innovazione funzionale e tecnologica e permetta al progettista di ritrovare anche in un approccio ambientalista la propria identità espressiva.

In apertura, Sergei Tchoban, disegno a mano della Dancing House di Frank O. Gehry a Praga, 2017.


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