Karlheinz Stockhausen

(a Iannis Xenakis, musicista, architetto, matematico, cantore delle nostre confuse contraddizioni contemporanee)

“C’è più nell’uomo e la musica che nella matematica, ma la musica comprende tutto ciò che è nella matematica. Questa mi è servita a formulare meglio i miei pensieri e le mie intuizioni e a dominare i dati tecnici. I dati matematici in se stessi non possono esprimere qualcosa, ma possono essere utilizzati per esprimere, a condizione che l’artista discerna nel loro meccanismo una «teleologia», diciamo una «promessa» artistica.“

Iannis Xenakis


L’architettura e la musica si sono inseguite per secoli.

Si sono spiate ma non si sono mai raggiunte, vicinissime ma sempre lontane, a decifrare i loro differenti canti, invitandosi a vicenda a compenetrarsi e comprendersi per definire finalmente quella dipendenza concettuale che le fa esistere: una dentro le emozioni dell’altra.

Dall’Orfeo di Monteverdi sono quasi centomila, ad esempio, le opere liriche che sono giunte fino a noi, anche se ne  rappresentiamo poco meno di qualche centinaio, ma ognuna di loro vive sempre e soltanto dentro un’architettura.

Teatri, auditorium, Hall, e infinite variazioni sul tema ci hanno costretto a credere che progettare e comporre altro non sia che una vicenda d’amorosi sensi, di incomprensioni, e negazioni, di slanci, di ardori che ispirano e si ripongono nel cassetto, o nello spazio dal teatro di Segesta o  all’IRCAM di Parigi, sempre musica è, ma come direbbe il titolo di un prezioso programma di Luciano Berio del 1972: ”c’ è musica e musica”.

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E c’è architettura che suona, che intercetta le vibrazioni del cosmo, e le diluisce nel tappeto sonoro della nostra esistenza, ogni spazio vibra, e ogni umano, pure, dunque la casa degli uomini è la cassa armonica della frequenza umana, nell’impossibilità del silenzio e in assenza di un progetto che non abbia cognizione di sé come frammento culturale del nostro passaggio “rumoroso” sulla terra.

Due brevi passaggi del grande Marius Schneider: ”La fonte dalla quale emana il mondo è sempre una fonte acustica”, “L’uomo è nato dal suono, la sua essenza rimarrà sempre sonora” ,come una maledizione magica dunque il mondo non può sfuggire alle frequenze che emette, suoni che hanno colonizzato prima di ogni cosa il nostro pianeta.

L’uomo ne riprende le potenzialità originarie, arcaiche e le trasforma in musica, e in architettura, come in una dicotomia genetica e disciplinare, le sorelle vibranti, diventano gemelle, anzi siamesi, si incoronano a vicenda, si completano come in un corpo che non conosce altro, che quella perfetta simbiosi.

…alcuni rapporti tra musica e architettura sono molto semplici da intuire confusamente, delicati da precisare e definire, e non è impossibile metterli in dubbio, poiché tutto ciò che è estetico è incerto.

Ma a me sembravano clamorosi. È chiaro che musica e architettura sono entrambe arti che non hanno bisogno di imitare le cose; sono arti in cui materia e forma hanno tra loro un rapporto più intimo che altrove; l’una e l’altra si rivolgono alla generale sensibilità.

Entrambe ammettono la ripetizione, mezzo onnipotente; entrambe ricorrono agli effetti fisici della grandezza e dell’intensità, con cui possono stupire i sensi e la mente sino all’annichilimento.

Infine, la loro rispettiva natura permette un’abbondanza di combinazioni e sviluppi regolari che le collegano o le confrontano con la geometria e l’analisi.

Iannis Xenakis

Gli stessi lemmi disciplinari si assomigliano: altezza, intensità, sensi, vibrazione, tempo, acustica, suono , e altri mille si concatenano, discutono, ci accompagnano verso una visione polimorfa, ci aiutano a comprendere l’ineluttabile trasversalità delle arti che vivono in funzione di un progetto più alto e misterioso che vive anche nelle separazioni concettuali: la musica è la musica e l’architettura è l’architettura.

Ma nella mente del pensatore progettante, il suono non si spegne mai, sostiene ogni percorso creatore, anche inconsciamente e potenzia le possibilità espressive, moltiplicandone le sensibilità, questa dialettica programmatica costituisce il viatico più alto nel passaggio dall’idea alla forma fisica, sia essa spazio, sia essa frequenza.

 E Piano: “E’ incredibile quanti elementi del fare musica e del fare architettura siano simili”

“Un’ opera musicale, è un edificio cui aggiungi continuamente stanze, finestre, ali nuove” (Luciano Berio)

Questo rapporto ha generato dipendenza, il musicista spesso si sente costruttore, progettista e l’architetto ambisce a dare al suono la migliore forma fisica possibile, come la necessaria conseguenza del suo essere un uomo colto, rinascimentale, curioso.

“… Per parlare dei suoni bisogna cominciare facendo silenzio. Fare silenzio. Strana espressione. Come fare architettura, quando questa descrive il vuoto attraverso le forme. Vediamo le forme e intuiamo il volume. Fuori e dentro. Silenzio e vuoto. Stessa cosa.” (Dario Paini)

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Per questo bisogna amare la musica incondizionatamente, complessivamente, insaziabilmente, farsi possedere da ogni possibilità, da ogni frequenza, in quello spazio dove la vibrazione decide se diventare suono o spazio, e nella ultima sinergia intellettuale, l’incanto della creazione diventa il luogo finale dove far esprimere ogni esistenza umana.

Come nell’azione incoercibile dell’architetto-musicista che ha ispirato questa breve ode, e che dopo decenni è sempre attuale perché sorprendente e in questo processo di stupori, ci costringe alla complessità che le due discipline del suono e dello spazio, si scambiano da sempre.

Poi ci sarà sempre tempo per cercare il vuoto e il silenzio che in ultima analisi rappresentano la nostra ambizione finale, la fine di un viaggio che non conosce soste, tracciati o certezze, ma solo timidi sguardi sull’abisso incomprensibile di ogni creazione.

“E quando incontrano opere d’arte che dimostrano che l’uso dei nuovi media può portare a nuove esperienze e alla nuova consapevolezza, ed espandere i nostri sensi, la nostra percezione, la nostra intelligenza, allora si interesseranno a questa musica.“

Karlheinz Stockhausen