MUDEC Milano

“I musei sono la resurrezione”

Edmund De Waal

All’inizio c’era la Wunderkammer, la stanza delle meraviglie, che nell’intento del proprietario, generalmente un principe o un imperatore, doveva suscitare lo stupore e l’ammirazione del visitatore. Altrimenti detta “Cabinet de curiosités” e spesso confinata in un ambiente segreto della dimora del principe, raccoglieva in un “disordine creativo” oggetti meravigliosi e strani: crani di scimmia, denti di narvalo, pietre dure, corni di unicorno, polvere di mummia, aberrazioni della natura o sapienti creazioni dell’uomo, un insieme che corrispondeva alla sete di conoscenza dell’uomo del Rinascimento.

Uno status symbol del principe (sarà solo la Rivoluzione Francese che riconoscerà il diritto per tutti gli uomini, senza distinzione di nascita o di casta, di ammirare i capolavori dell’arte, confiscati alle collezioni reali e principesche e dichiarati di proprietà del popolo).

La Collezione permanente del Mudec, il Museo delle Culture di Milano, non a caso si apre proprio con una Wunderkammer, quella assemblata dal canonico milanese Manfredo Settala nel 1600. Si tratta in realtà di una minuscola parte della collezione, che all’epoca contava oltre tremila pezzi catalogati in tre sezioni; naturalia, artificialia e curiosa.

Sono passati quattrocentoventi anni. Siamo in via Tortona, nell’ex complesso dell’Ansaldo. L’archistar inglese David Chipperfield ha disegnato un immenso tamburo di cristallo opalino e acciaio che svetta sulle strutture del primo Novecento del complesso. In questo luogo si incontrano virtualmente passato, contemporaneità e futuro del concetto di museo.

Photo credit: Bosc d’Anjou on Visualhunt.com / CC BY-NC-SA

Negli ultimi anni in Italia l’architettura del museo da una parte e l’allestimento museografico dall’altra hanno rivelato la loro fondamentale importanza nel costruire il senso e l’identità di una collezione nel momento in cui essa viene ‘assemblata’ per essere esposta, cioè comunicata, a un uditorio più o meno vasto. Gli esempi sono tanti: dal Mart di Rovereto realizzato su progetto di Mario Botta alla Pinacoteca Agnelli di Renzo Piano, dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Claudio Silvestrin al complesso del MaXXI di Zaha Hadid.

Interventi salutati come un necessario e non più procrastinabile adeguamento del sistema espositivo italiano. In questo nuovo scenario l’archistar – che indubbiamente costituisce un elemento di richiamo per l’opinione pubblica – è chiamato a svolgere un ruolo chiave e decisivo sotto molti punti di vista: deve elaborare una concezione innovativa del museo, in cui spazi, struttura e collezioni concorrono a esaudire il desiderio esperienziale del visitatore.

È ormai più che mai chiaro che la funzione di uno spazio museale non si limita a conservare e ad esporre le proprie collezioni. Ed è fondamentale che il museo stesso trasmetta al pubblico un’identità e diventi sempre più esperienziale. La digital transformation, in questo senso, sta modificando la presenza del visitatore all’interno dello spazio museale.

Ancora prima dell’emergenza Covid-19 i social media dei musei erano già uno dei canali di accesso privilegiati. Oggi possiamo dire che la rete è diventata il canale informatico principale, il contesto dove si prepara la visita e spesso si acquista il biglietto di entrata. La visita in loco diventa sempre più immersiva, grazie alle tecnologie, con installazioni all’interno dei percorsi museali che ne integrano l’offerta culturale. E dopo la visita i social sono un insostituibile ed efficace luogo di condivisione.

Photo credit: verogabri on VisualHunt / CC BY-NC-SA

Nello stesso tempo, il museo dovrebbe poter offrire uno spazio ‘fuori dal tempo’, un momento di tranquillità, un ambiente dove chiunque possa rallentare il proprio ritmo e prendersi tempo, una sorta di room of one’s own che ci restituisca il senso del nostro tempo e l’arte di guardare l’arte, non tramite iPad o smartphone, assillati da una incessante richieste di presenza, di urgenza. È solo decelerando che possiamo ‘entrare’ davvero nell’arte.

L’intero concetto di ‘museo’ – che cos’è e che ruolo occupa nella società – va indubbiamente ripensato. Nel monumentale volume Potential Museums di Donatien Grau (ed. Paradise, 2018) l’astronomo bulgaro Dimitar Sasselov, professore di astronomia all’Harvard University, ha immaginato un suggestivo museo del futuro su Marte. Nel 2050, quando gli esseri umani si saranno stabilmente insediati sul pianeta rosso, accanto alle istituzioni governative e finanziarie si porrà il problema di fondare un museo.

Il MaMo – questo l’acronimo per il Mars Museum of Arts – secondo Sasselov sarà insieme archivio, istituzione educativa e spazio ricreativo, riassumendo nella sua natura tutti questi tre aspetti combinati fra di loro. Ma sarà soprattutto il luogo dove giovani e adulti potranno trovare uno spazio sicuro e la possibilità di esprimere la propria creatività.

MARS HABITAT BY HASSELL, IMAGE CREDIT- HASSELL + ECKERSLEY O’CALLAGHAN

Indubbiamente più che l’abilità degli allestitori e la qualità del loro intento, l’esperienza museale dipenderà dalla nostra disponibilità, dalla nostra curiosità e dalla nostra apertura mentale. Un museo sarà prima di tutto il luogo dove incontrare noi stessi.


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