Alessandro Mendini

Alessandro Mendini, Architetto, o designer, teorico o artista, artigiano sapiente o poeta, Sandro è stato ed è ancora oggi a cinque anni dalla sua scomparsa, un’idea potente, luminosa, incoercibile di creazione, libera, iconoclasta e soprattutto non classificabile nei recinti degli stili e delle mode. Mendini li ha anticipati tutti i trend, e certamente dandone una lettura colta e dissacrante, ma sempre originale, insospettabile e ironica, e forse quel sorriso sornione da gatto ci manca molto. Ci manca.

“Il design non deve essere acquiescente ma un po’ aberrante”. «C’è una definizione per ciascun designer. Per me deve essere praticabile, funzionale, ma anche esprimere un’emozione e una critica. Non essere acquiescente, ma sempre un po’ aberrante. Per essere interessante, un oggetto deve contenere un errore: troppo rosso, troppo grande, troppo kitsch; così lo si guarda con attenzione diversa, nasce un legame di sentimenti».

Alessandro Mendini, 2017

Mi piace utilizzare questo semplice disegno per descrivere la personalità complessa di Alessandro Mendini che in molti decenni di attività ha attraversato scenari, metodi, discipline, senza dare a nessuna di esse, la priorità per poter essere descritto.

alessandro mendini

Ha diretto Modo, Casabella e Domus e Ollo, e già questo la dice lunga sulla curiosità e la disponibilità a esplorare tracciati e mondi paralleli, ha lavorato con i grandi (Marcello Nizzoli), e con tutti i giovani di talento poi diventati a loro volta: i Grandi. Ha dato spazio all’ironia attraverso la cultura del progetto, creando un personale museo del design fatto di capisaldi e di oggetti eponimi, di invarianti solide e attuali.

Nessuna attività legata ai principi più alti della creatività, è rimasta inespressa, ha disegnato gioielli e Musei, stazioni della metropolitana e la sede di Domus, lampade, cavatappi, caffettiere e la Poltrona di Proust, oggetti, oggetti e oggetti per qualsiasi attività umana.

Alessandro Mendini poltrona Proust

Ha scritto moltissimo, la sua summa teorica è di migliaia di pagine, mantenendo un distacco, una capacità di divertire e di divertirsi, che nasce da quei pochi capiscuola che forse non hanno bisogno di prendersi molto sul serio.

Mentre nel suo lavoro era serissimo, metodico, capace di produrre centinaia di progetti, a tutte le scale e in molti paesi del mondo, dove, nel corso del tempo è diventato un’icona della contemporaneità, e Alchimia ne è l’esempio maturo: un laboratorio, un atelier, una bottega dove si sono formate le migliori intelligenze dell’architettura e del design del tempo.

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Non dobbiamo dimenticare la generosità di Mendini e la sua capacità di scovare talenti che non l’abbandonerà mai, e l’elenco sarebbe lungo e prestigioso, anche in relazione a periodi storici che manifestavano l’interesse continuo e inarrestabile per l’ innovazione, la ricerca di nuovi materiali e forme, per l’azzardo, di cui era maestro indiscusso.

“Il mio lavoro probabilmente somiglia alla mia vita, è un lavoro labirintico, una continua ricerca è andare e venire, ritornare sui propri passi, lavorare per parti e ottenere risultati attraverso degli spezzoni che un po’ assomigliano all’abito di arlecchino. ” A.M.

Nella sua lunga e variegata attività, l’elemento giocoso e gioioso non verrà mai meno, come dovrebbe essere il principio della produzione di segni architettonici e di design, sempre perfettamente allineati con i tempi, mai obsoleti o relegati nel recinto del passato: Mendini è “un oggi per sempre”, e ha costruito una sua idea personalissima di tempo, rendendo superate, noiose molte altre creazioni coeve.

Per il valore della sua opera l’architetto Mendini è stato nominato Chevalier des Arts et des Lettres in Francia, ha ricevuto il Compasso d’oro alla Carriera, l’onorificenza dell’Architectural League (New York, 1983), il The European Prize for Architecture nel 2014 e, tra le altre, la Laurea Honoris Causa al Politecnico di Milano.

Alessandro Mendini
da sinistra, Hopebird, ceramica di Jaime Hayon, 2020/2021; dipinto Barfly e terracotta Oi di Alex Mocika, 2007 e 2013; light box Mi Vida di Occhiomagico, 2000; bronzo Sword di Studio Job, 2021; contenitore Cabinet Beauty di Carla Ceccariglia, 1989

“Mentre si guardava ad architettura e urbanistica come elementi importanti e fondanti intorno ai quali si mettevano le vite, gli individui, in Mendini, il ribaltamento è totale: le vite fanno le città, gli abiti fanno le città, i pensieri, le cose, le attività fanno la città”. Andrea Attanasio, designer.

Forse col distacco che si deve all’opera di un “artista”, oggi, possiamo con maggiore lucidità di pensiero comprendere meglio la sua parabola esistenziale e creativa, perché come tutti gli innovatori del secolo scorso (ma anche di questo), non sempre è stato possibile capire la sua complessa metodologia formale e segnica, soprattutto nell’applicazione del concetto heideggeriano ”poeticamente abita l’uomo” che Mendini ha fatto suo, in tempi non sospetti.

Credo che la mostra della Triennale sia il giusto riconoscimento, anche se ne ha avuti molti (lui direbbe troppi) in vita, perché cerca di valutare la capacità inarrestabile di produrre progetti multimediali, senza una collocazione specifica in una sola disciplina, e questo simboleggia la ricerca “artistica”, solitaria, di un vocabolario globale.

Mostra alla Triennale di Milano: Io sono un drago La vera storia di Alessandro Mendini

Un’ampia retrospettiva sull’opera di Alessandro Mendini, architetto, designer, artista e teorico che ha segnato le rivoluzioni del pensiero e del costume del vecchio secolo e del nuovo millennio. Il titolo dell’esposizione Io sono un drago prende spunto da uno dei suoi più emblematici autoritratti per enfatizzare l’unicità della sua figura nel mondo del progetto. La mostra si articola in nuclei tematici e riunisce lavori di formati, materiali e soggetti differenti, opere provenienti da numerose collezioni pubbliche e private e coinvolge voci da tutto il mondo. Crediti: Una produzione di: Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain.  In collaborazione con: Archivio Alessandro Mendini. A cura di: Fulvio Irace Progetto di allestimento di: Pierre Charpin

Una lingua ancora comprensibilissima che si arricchisce negli anni, di nuovi e profondi significati, di sfumature, di chiaroscuri che, negli anni rumorosi della produzione non avevamo compreso, o forse solo metabolizzato, distratti dal rumore di fondo dell’Era Edonistica.

Mendini continua a sussurrare il suo lessico gentile, timido, con una tale forza che contrasta con la sua fragilità fisica, con quella tenerezza con cui vorremmo avvolgerlo e coccolarlo, quel “parlare sottovoce” che riesce a raggiungere i luoghi più nascosti della nostra coscienza di uomini, di progettisti, di utilizzatori di strumenti per il nostro ben-essere.

Alessandro Mendini
due vasi reversibili Strelitzia Reginae, di S. Casciani, 2021, “fioriti” dai vasi ConoSfera per questa esposizione

A cinque anni dalla scomparsa e a novanta dalla nascita, il suono del suo insegnamento ci appare sempre più nitido e utile per continuare a dare un senso al “fare architettura, design, arte”, perché “essere poeti” è la più bella e difficile delle “professioni” umane, e Sandro è stato il testimone, e il cantore di questo mondo ormai scomparso.

“è il poetare che, in primissimo luogo, rende l’abitare un abitare. Poetare è l’autentico far abitare (…) Noi abitiamo poeticamente ? Probabilmente noi abitiamo in un modo completamente impoetico (…) M. Heidegger


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