«Nulla mi ostacola nella mia vita, posso darle la forma che voglio io». Così scrisse Gunta Stölzl – a capo del laboratorio di tessitura del Bauhaus prima di Otti Berger – nel suo diario.  

Anche Londra riscopre la passione per l’artigianalità e quei frutti del lavoro manuale, unici e sperimentali, connaturati al Bauhaus. La celebrazione Artfact, che va in scena da qualche anno al Design Center, recupera con orgoglio skills, geometrie e decori ispirati alla famosa scuola con sede a Weimer e poi Dessau (come le interesection create dall’artista Dalia James con le sue opere tessili. Nuove interpretazioni di patchwork colorati e mosaici caleidoscopici).

Giovani talenti si sono messi alla prova in varie discipline e materiali -dal metallo al vetro, dalla ceramica alle fibre vegetali, dai materiali riciclabili alla tessitura di filamenti plastici residuali dei processi di stampa in 3D – al cospetto di alcune tra le più importanti gallerie di arts and crafts londinesi. Ma torniamo alla protagonista femminile del nostro racconto.

Otti Berger
Otti Berger

Otti Berger nasce nel 1898 entro i confini dell’Impero Austro-Ungarico, oggi Croazia. Ai suoi primi studi presso la Collegiate School for Girls di Vienna seguirono quelli alla Royal Academy of Arts and Crafts di Zagabria, dove si andò modellando la sua forte sensibilità e capacità espressiva, ancor prima di entrare nella più famosa scuola tedesca dell’epoca. Al Bauhaus di Dessau entrò in età “matura”, nel 1927, e fu allieva del poliedrico artista Lászlò Moholy-Nagi e dei grandi maestri della pittura (nonché amatissimi docenti) Kandinsky e Klee. La maestria della Berger nell’arte ritmata del telaio non passò inosservata tra i suoi professori, tanto da essere definita “una delle studentesse più talentuose del laboratorio di tessitura”.

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Fu un’esponente della corrente più sperimentale e concettuale all’interno del workshop, applicò a questa tradizionale arte femminile nuove metodologie ed il coraggio creativo di fronteggiare materiale inusuali come i tessuti in plastica (il primo embrione di cellophane) destinati ad una produzione di massa. Un dilemma chiastico avvinghiava la scuola tra un purissimo approccio artigianale e l’apertura verso quel processo industriale, che permetteva numeri più alti e maggiori introiti per la scuola.

Otti Berger

I suoi disegni e decori tessili, esperienza unica del suo genere, furono brevettati grazie ad un’operazione datata 1932 definita “Möbelstoff-Doppelgewebe”; un riconoscimento della proprietà intellettuale di moderna concezione ottenuta al di fuori dei confini della scuola, un design per il futuro nell’alveo di una disciplina ritenuta fino ad allora estremamente tradizionale. I diritti vennero poi ceduti alla Shriver Corporation (Insieme a quelli di illustri colleghe come Anni Albers e Gunta Stölzl, autrice delle meravigliose opere tessili che rivestivano le celebri sedie di Marcel Breur, oggetti agognati ancora oggi da collezionisti di tutto il mondo).

Ricordiamo che agli albori del Bauhaus, le studentesse iscritte sono la maggioranza: ben 84 a fronte dei 79 della controparte maschile. Una maggioranza non silenziosa che sbaraglia i suoi fondatori (questa proporzione cambiò sensibilmente nel corso degli anni) e porta all’applicazione di severi criteri di selezione e orientamento scolastico.  

Otti Berger
Otti Berger – Sede della scuola Bauhaus a Dessau

Il “confinamento” verso discipline che richiedevano un pensiero bidimensionale, tra cui la tessitura, diventa così la forza propulsiva del laboratorio (considerato una forma di artigianato artistico destinato ai piani più bassi dell’edificio architettonico immaginato da Gropius, che prediligeva arte, design e architettura). Questo non impedì alle giovani e talentuose allieve e docenti di trasformare l’isolamento in autonomia e libertà di sperimentazione. Dallo stesso laboratorio escono prodotti ampiamente apprezzati da critica e pubblico, di grande successo commerciale nonché forieri di sollievo economico per le traballanti casse scolastiche – e in alcuni casi permettono di finanziare progetti iperbolici dell’altra metà del cielo -.

Queste luminose ed abili figure femminili escono dallo sfondo per diventare oggi personaggi di primo piano sul palcoscenico della storia artistica di quel complesso periodo storico: non più donne all’ombra di grandi uomini.

La Berger si è sempre opposta ad un’interpretazione a senso unico della tessitura come semplice forma di “artigianato femminile” e non ha esitato ad utilizzare i linguaggi della pittura e della fotografia per raccontare le pieghe più recondite del suo lavoro. Durante il suo incarico a Dessau, riuscì a scrivere un trattato sui tessuti e la metodologia del processo di produzione tessile, opera unica rimasta nelle mani di Walter Gropius e mai pubblicata.

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Fedele al suo ruolo di mentore di giovani talenti, Otti Berger ha diretto un proprio gruppo di lavoro – fu la vice di Lilly Reich alla quale dobbiamo alcuni tra i più fulgidi esempi di arredi disegnati a quattro mani con Mies Van de Rohe – con il quale ha portato avanti con ardore i principi del Bauhaus. Tra le sue epigone la tessitrice parigina Zsuzsa Markos, Ney e Etel Fodor-Mittag, la quale esportò la magia della tessitura a mano fino in Sud Africa.

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La natura imprenditoriale e avventurosa portò l’artista a lasciare la scuola per intraprendere la carriera solista e sperimentare una maggiore libertà creativa, aprendo lo studio “Otti Berger Atelier für textilien”. La sua collaborazione con diverse aziende del settore (come la svizzera Zürcher Wohnbedarf e l’olandese De Ploeg) diede corpo a materiali innovativi e durevoli creati per uso domestico ed intitolati: “diagonal”, “pointé”, “heliotroop”, decorati da forme astratte ed essenziali e personalizzate dal suo marchio “Otti Berger Stoffe” (o dalle sue sole iniziali OB). Delle vere e proprie collezioni industriali in grado di conquistare un ampio mercato, che facevano delle geometrie primarie e dei toni cromatici soffusi un punto di forza, alla strenua ricerca di un generale equilibrio compositivo, embrione di quel design industriale applicato alle superfici di cui oggi siamo convinti sostenitori. 

Le sue origini ebraiche non le consentirono di continuare ad operare sotto il regime nazista, fu costretta a chiudere il suo Atelier e trasferirsi a Londra: punto d’incontro di molti esponenti del Bauhaus prima di proseguire il viaggio per gli Stati Uniti. Ma il suo piano non riuscì a compiersi e la sospirata VISA per l’insegnamento, perorata presso ex-illustri colleghi, non arrivò mai. Il fallimento professionale e l’isolamento sociale conosciuto nella capitale inglese la spinsero a tornare in patria, a Zmajevac nel 1938, dove la famiglia, ed in particolare la madre, necessitava di cure e soccorso. Qui fu catturata a deportata al campo di concentramento di Auschwitz, da cui non uscirà più.

Fonte: www.fembio.org/biographie.php/frau/biographie/otti-berger/