Gae aulenti

A quasi cento anni dalla nascita l’opera di Gae Aulenti, per tutti “la Gae”, è ancora luminosa nella sua complessità multimediale e per la curiosità con cui questo maestro (lei avrebbe voluto il maschile) ha attraversato discipline e prassi della cultura del progetto, in tutte le sue più recondite sfaccettature.

Esiste nei personaggi più significativi un’ansia produttiva, nel rigore e nell’impegno che sono insite nella genetica dei grandi autori. Fin da ragazzina, nata per caso in Friuli, ma poi e da subito nomade felice e inesauribile, Biella, Firenze e finalmente Milano, dove si laureerà nel 1953, sola tra poche donne ma le
sue “colleghe” si chiamavano Cini Boeri e Anna Castelli, quindi fin dall’inizio in buona compagnia, ed è molto difficile non ricordare in quale contesto si sviluppa la sua crescita culturale.

«L’architetto deve saper leggere il contesto, perché molto spesso le radici sono nascoste e sotterranee. Il saperle riconoscere e farle apparire è il grande lavoro di rilettura storica di un luogo».

Gae Aulenti

La città lombarda pullula di figure intellettuali straordinarie, ma quel che è e rimarrà unico, è la frequentazione trasversale, continua, ossessiva, oggi un ricordo lontano, così sono scomparsi i circoli culturali, vera struttura politica, sociale e culturale della città .

Giovani e vecchi si incontrano e parlano, parlano e litigano ma sono dopo qualche tempo scopriremo che si tratta di scrittori, artisti, filosofi e musicisti, tra i più grandi del novecento dunque in questo humus, “la Gae” si trova perfettamente a sua agio, e il suo lavoro sarà il frutto compiuto di questa condizione.

Gae aulenti

“Sono inoltre convinta che non potendosi separare il prodotto architettonico dall’epoca che l’ha voluto e ne ha permesso la costruzione, sia necessario, o meglio, indispensabile fornire le coordinate di quest’epoca attraverso l’analisi delle “dominanti” che la caratterizzano e che maggiormente condizionano l’identità delle cose costruite.”

Margherita Petranzan (Parole di Pietra).

Subito dopo la laurea ha un’occasione straordinaria di frequentare e per dieci anni la redazione di Casabella-Continuità diretta da Ernesto Nathan Rogers, una palestra intellettuale irripetibile vista la presenza dei Gregotti, Rossi, Canella etc, unica donna in mezzo a “tanti galli”, scherzerà (ma non troppo),ma è già formato quel carattere che la renderà forte anzi fortissima, tra forti, e dunque la sua carriera esplode.

Prima di tutto il design per le piú grandi aziende come Knoll, Fontana Arte, Kartell e Artemide, tra i più noti la lampada “Pipistrello” e “King Sun” per gli Showroom Olivetti di Parigi e Buenos Aires (1966-67) e, con Piero Castiglioni, la lampada “Bugia” per il Museè d’Orsay (Parigi, 1986) e la lampada “Cestello” per Palazzo Grassi (Venezia, 1986), nati come elementi complementari per i suoi progetti principali realizzati nel mondo.

A partire dagli anni ‘80 realizza una serie di importanti musei quali il Museé d’Orsay (1980- 86), trasformando la Gare d’Orsay di Parigi in uno tra i più importanti musei d’arte del mondo, quindi il nuovo allestimento del Musée National d’Art Moderne al Centre Pompidou (1982-85) e la ristrutturazione di Palazzo Grassi a Venezia (1985-86),quindi i lavori a il Museo di Arte Catalana a Barcellona, il Museo di arte asiatica a San Francisco, l’Istituto di cultura italiana a Tokyo.

Gae Aulenti Museo Orsay

Unitamente a questa lunga sequenza di edifici museali, contribuisce allo sviluppo di una serie di allestimenti per cui è famosa nel mondo, mostre di importanza capitale che hanno avuto il merito di svecchiare tutti i concetti arcaici consolidati, trasformandoli in vere e proprie architetture, e non è un caso che fin dagli anni settanta, Gae Aulenti inizia un proficuo rapporto con i maestri del teatro come Luca Ronconi e altri.

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Tra gli altri spettacoli ricordiamo “Donnerstag aus Licht” (1981) e “Samstag aus Licht”(1984) di Karlheinz Stockhausen; il “Il viaggio a Reims” (1984) di Gioacchino Rossini, diretto da Claudio Abbado, e lo “Zar Saltan” (1988) di Rimkij-Korsakov. Viaggiatrice instancabile per lavoro e per diletto, ma sempre capace di lasciare segni culturali profondi, si pensi al libro sul primo viaggio in Cina (Cina 1974) , o ai i suoi testi teorici come “Vedere molto, Immaginare molto”.

“C’è una porta discreta, che quasi non si vede tanto è mimetizzata. È il punto di contatto
fra due edifici, uno con l’ingresso in via Fiori Oscuri, l’altro in Piazza San Marco. Una porta
fiabesca dove – come Alice e lo specchio – passavi da un mondo ad un altro, da
un’identità all’altra. Al di qua eri la Gae, al di là l’architetto Aulenti.”

Gianni Biondillo, Storie Milanesi.

Gae Aulenti e la milanesità

È un’attitudine intrinseca, anche se declinata lontana dalla retorica e dal provincialismo, di cui soffre spesso la città, Gae Aulenti non è altro che frutto del suo tempo e delle sue circostanze magnifiche di crescita civile e politica, lei piccola staffetta partigiana, terrà sempre dentro di se, l’impegno che non è solo per l’affermazione della cultura e del progetto, ma saprà destreggiarsi in mezzo a tante trappole che il contesto le creerà nella sua lunga carriera, la contestata sistemazione di Piazza Cadorna, ad esempio (“ai tassisti, piace”).

Certo i suoi compagni d’avventura sono talmente affascinanti che è impossibile restarne indifferenti, non trarne nutrimento, ma quel che importa che lei lo ha fatto con una forza sicuramente maschile. E si è imposta senza usare il genere, ecco perché preferiva farsi chiamare architetto (diceva che al femminile il termine non esiste), novella Plautilla Bricci, ma molti secoli dopo.

Gae Aulenti milano

Questo dimostra quanto sia stata importante la sua azione culturale, per le nostre giovani colleghe che l’hanno seguita, negli anni successivi, dunque ha dato senso a quel “miracolo a Milano” che è imprescindibile dalla sua prestigiosa attività internazionale, tra premi, e riconoscimenti, come la Piazza a lei dedicata, nata pochi mesi dopo la sua morte (2012),tra i grattacieli della nuova City.

Di lei ricordiamo l’ironia pungente, il fumo delle Chesterfield, e la consapevolezza di aver creato un tracciato culturale trasversale, elegante, ancora molto presente nell’architettura, nel design e nel teatro, perché “la Gae” a quasi cento anni dalla nascita è sempre attuale, e ci guarda dal suo terrazzo di piazza San Marco, senza fare rumore, senza dare giudizi sui nostri tempi confusi.


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