chiesa

E’ un termine complesso e dal punto di vista semantico non circoscrivibile concretamente, compiutamente perché sfugge ad ogni definizione assoluta, anzi spesso quello che non riusciamo ad esprimere diventa l’espressione più vicina all’idea.

Qualche giorno fa alcune importanti istituzioni italiane (la Triennale di Milano e il MAXXI-Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, di Roma), hanno consegnato il Premio di Architettura, giunto alla quarta edizione, e una riflessione su quanto espresso prima mi sento di farla.

La varietà delle opere e degli autori premiati, stabiliscono questo principio di assoluta multiformità pur nella densità dei vari talenti, per età, ricerca e metodologie, due premi per il miglior edificio al gruppo Atzeni, Manias. Mocci e Serra ed ELASTICO farm, una menzione a Labics, un premio per il miglior autore under 35 allo Studio Ossidiana e infine il Premio alla carriera al veterano Aimaro Oreglia d’Isola.

I vari autori rappresentano una delle tante cartine di tornasole dello stato di salute dell’architettura italiana, spesso poco celebrata nel resto del mondo ma sempre molto vivace e sicura nei vari percorsi e tracciati espressi.

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Nomi noti e nomi meno noti, ma il principio del lavoro di gruppo, del “workshop permanente” ormai è prassi consolidata, e questo allinea il nostro Paese alle migliori scuole europee, che va ricercato delle complesse ed articolate performance delle firme meno propense ad inseguire le luci della ribalta.

Il gruppo Atzeni/Manias/Mocci e Serra, risultano i vincitori (ex-equo) per il miglior edificio realizzato tra il 2012 e il 2017 a Sini in provincia di Oristano, e si tratta di uno splendido complesso parrocchiale destinato a quella piccola comunità, già dall’impianto volumetrico si comprende la capacità straordinaria dei progettisti di controllare la materia finita senza abbandonarsi ad alcun momento manieristico.

La chiesa è un purissimo volume che aiuta qualsiasi forma di meditazione, con enorme rispetto e con una felicità espressiva e compositiva, un luogo/momento di raccoglimento ma anche lo spazio per raccogliere i componenti dell’ecclesia, quella comunità che soprattutto in questi minuscoli borghi ha nella chiesa la sua componente sociale, estetica ed etica.

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Nella sede del laboratorio S-LAB dell’Istituto Nazionale di Fisica con sede a Torino, Elastico Farm realizza un edificio semi-industriale in cui vengono prodotti macchinari e strumentazioni di precisione per le sperimentazioni portate avanti dall’istituto.

Il progetto adotta la tecnologia dell’edilizia industriale e, trasformandola, ne dà forma per valorizzare la ricerca che si svolge al suo interno.

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Il lavoro si inserisce in un percorso del gruppo teorico progettuale, ormai consolidato per simbologie e ricerca di una apparente ma non semplice identità degli spazi per la ricerca più alta, riprodotto in varie altre esperienze realizzate.

La menzione a Labics riconosce il talento identitario di uno studio che ha l’abilità programmatica di rinforzare episodi storici, momenti altissimi della Classicità, in questo caso Palazzo dei Diamanti a Ferrara di Rossetti, con le nuove esigenze espositive, energetiche dei nuovi tracciati museali contemporanei.

L’antico si illumina attraverso le capacità progettuali di una contemporaneità mai esibita, ma capace di integrarsi perfettamente all’interno di questo prezioso spazio architettonico e urbano.

Il premio per il gruppo under 35, premia Ossidiana, uno dei più interessanti laboratori internazionali fondato da giovani italiani con sede a Rotterdam, mecca luninescente dell’architettura e della ricerca internazionali, luogo in cui aleggiano le condizioni ideali per esprimere forme di avanguardia e di innovazione ai livelli più alti, attraverso momenti improvvidi di inter-comunicazione tra tutte le arti plastiche.

Un continuum antropologico-concettuale dove la funzione dei progettisti assomiglia sempre di più al lavoro del performer, sulla mai sopita ideologia Beuysiana, faro luminoso, soprattutto nei paesi nordici, meno qui da noi, e comunque ci sembrano allineati ai principi “sottesi” dell’ultima biennale di architettura (e/o d’arte?) che ha imposto una riflessione ancora troppo abbozzata, per dare risposte programmatiche per il futuro, ma Giovanni Belloti e Alessandra Covini, conoscono (e si vede) principi e metodi per condurci fuori dalle sabbie mobili di “facciatismo muscolare” ormai schiacciato dall’estetica-chirurgia plastica.

Più che una novità ci appare come una certezza, finalmente, che parte da questo Art Pavillion di Almere.

Ultimo premiato (non per importanza), “il sopravvissuto” Aimaro Oreglia d’Isola del blasonatissimo studio Gabetti e Isola, icona indimenticata della storia e della cronaca dell’architettura italiana, autori di progetti eponimi nel corso di decenni di inarrestabile attività, e questo riconoscimento ci racconta da dove veniamo, chi eravamo e quanto potevamo raccontare nell’ambito della cultura del progetto del secolo scorso.

Un percorso a tappe pieno di ideali e pregno di invenzioni, sempre attento alla materia, alla forma e ai principi, anche in questo caso l’architetto più maturo si troverà in ottima compagnia tra i premiati, giovani e meno, ma tutti pronti a dare forza all’ Idea, a dare senso a nuovi percorsi inesplorati, senza paure ma con la consapevolezza che l’architettura vince sempre, solo quando può definirsi come l’irrinunciabile racconto di una nuova visione.

Lo stupore non ha bisogno di gesti atletici, perché in fondo è solo l’applicazione di regole antiche, consolidate, e l’insegnamento dei “vecchi”, come sempre, sembra aver prodotto nuovo slancio per i giovani.


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