“Non esisteva nemmeno una parola per definirla

“Diventare architetto, (…) trasformare un disegno in pietra, un pensiero in qualcosa di solido, perenne. Tirar su una casa. Scegliere le tegole del tetto e il mattonato del pavimento. Immaginare facciate, cornicioni, architravi, logge, scale, frontoni, prospettive, giardini. Per quanto ne sapevo, una donna non l’aveva mai fatto. Non esisteva nemmeno una parola per definirla”.

Plautilla Bricci L’architettrice di Melania G.Mazzucco. Einaudi editore

“Il linguaggio è un pilastro fondamentale di ogni società. È lo strumento attraverso il quale condividiamo idee e valori. È fondamentale adeguarsi e utilizzare i femminili nelle professioni per evitare di nascondere le donne in ambiti un tempo prettamente maschili” .

Francesca Perani. Rebel Architette

Parabola metodologica

Solo poche righe per iniziare a raccontare la storia grande (a puntate) di una piccola sequenza di donne-architette, “architettrici” che sono riuscite ad affermare la propria personalità umana e professionale a ridosso dei secoli passati o che stiamo vivendo.

Scelte eponime, contrastanti, molto diverse tra loro ma accomunate dalla stessa forza di volontà e passione che le rende tutte figlie e nipoti orgogliose e appassionate di Plautilla Bricci, o Briccia come si firmava, in quanto figlia di Giovanni Bricci.

Dobbiamo ringraziare Melania G.Mazzucco per averci regalato questo affresco storico, culturale, antropologico della lunga vita della prima donna in Europa a potersi fregiare dell’agognato titolo di architetto che diventa il magico neo-lemma: architettrice.

Era necessario che qualcuno cominciasse a riflettere sull’altra metà del progetto (come per l’arte, Lea Vergine, fece qualche tempo fa), sia pure in termini sintetici e inevitabilmente parziali.

Apriamo un fronte culturale e ci sembra già un buon inizio porre la questione analizzando, o immaginando alcune “storie” di disagio, di fastidio, di incomprensione quando non si giunge alla vera discriminazione che sono diventate dopo un impegno caparbio, storie di successo.

La costellazione di limiti presunti o reali, costruita o vissuta nella quotidianità, impone una fatica non necessaria solo per potere competere correttamente “nell’agone della creazione” con gli uomini, che da sempre hanno dettato le regole a loro favorevoli.

Hadid, Sejima, Tagliabue, Urquiola e altre cento, sono le paladine di una professionalità al femminile che si è affrancata dal secolare dominio maschile, introducendo il principio sacrosanto della supremazia del prodotto generato rispetto al genere del produttore, pregiudizio stigmatizzato da molte Costituzioni del mondo civile, ma profondamente consolidato nella “società in-civile globalizzata”.

Essere “donna e architetta”, e uso il termine al femminile perché il linguaggio è il veicolo che determina le gerarchie, e avere un timbro con questo termine e non col consolidato “architetto” non può essere definito un vezzo (per altro respinto formalmente da molti Ordini Professionali italiani e stranieri).

Dunque in poco più di un secolo, queste donne hanno conquistato significative quote nel mercato della professione anche se ad una attuale parità di studi professionali non corrisponde l’equivalente prodotto economico generato, e su questo bisognerebbe riflettere superando il paravento concettuale delle leggi del “libero mercato”.

Anche nel terzo millennio, dobbiamo ascoltare frasi come: è la prima Direttrice, è la prima Preside, come a giustificare decenni di valutazioni differenziate rispetto al genere e naturalmente stiamo parlando del livello più altro della pratica professionale, provate ad immaginare cosa può accadere all’interno di quel 47% di iscritte agli Ordini italiani, decine di migliaia di professioniste, soccombenti alla consolidata disparità retributiva (verificata in ogni direzione e ad ogni latitudine).

Aver utilizzato alcune simbologie significative ci aiuta a comprendere una mentalità da combattere, ad esempio il Prizker Prize al solo Venturi, e non alla moglie Denise, partner effettiva dello studio, o la diffidenza iniziale nei confronti di architette, poi divenute famose, in quanto donne (quasi tutte dai racconti assortiti che vanno da Aulenti a Bardi a Perriand e troppe sconosciute).

Il recente lavoro analitico su Nanda Vigo ci riporta ad un contesto vitale, magico, creativo ma dove il talento dell’artista-architetta era scolorito e schiacciato dalla sua bellezza, dal fascino che esercitava sui troppi “maschi alfa” del bar Giamaica di Milano, e della fatica per far emergere le sue capacità e le idee.

Nanda Vigo

Ora molto è cambiato, anche se non abbastanza, e ne sanno qualcosa quelle giovani stagiste costrette alle peggiori angherie (ma in questo anche i ragazzi non sono da meno), fino al limite estremo delle molestie, caparbiamente come le loro nonne, alla ricerca del giusto riconoscimento, quando ovviamente il talento esiste, ma questa non è una peculiarità di genere.

Sono le condizioni di partenza in ogni ambito professionale che devono essere uguali per tutti (ne è un esempio la task force governativa  di Conte, priva di esperte, e non c’entra l’architettura o la fisica teoretica).

Dobbiamo imparare a pensare indifferentemente alle considerazioni sessuali, e capire perché siamo legati antropologicamente all’idea che un Presidente della Repubblica, un Capo può essere chiunque, basta che sia un uomo.

Con buona pace dei troppi che diranno che non è così, perché sono le statistiche che parlano chiaro, per una Levi Montalcini, o Fabiola Gianoli, ancora troppe donne aspettano che venga riconosciuto il giusto talento, a parità di capacità professionali.

La volontà di queste donne che sono riuscite, da Plautilla a Benedetta può aiutare, sommata a quella delle migliaia che hanno costruito la storia del mondo, della cultura e della creazione, ma dobbiamo toglierci la corazza retorica di dosso, dobbiamo combattere contro l’arcaismo dei sessi, debole e/o forte, e soprattutto contro quei ruoli culturalmente pre-confezionati.

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Ci piacerebbe continuare ad indagare questo territorio ancora troppo sconosciuto, e comprendere le metodologie umane che sostengono ogni disparità e discriminazione, che ovviamente si sommano alle tante altre forme consolidate, anche con l’aiuto dei tanti che condividono con noi l’antica passione per la libertà espressiva del talento.

Non abbiamo più tempo per costruire recinti, ma solo edifici.

Con la più sincera riconoscenza verso:

Plautilla Bricci

Benedetta Tagliabue

Cini Boeri

Zaha Hadid

Patricia Urquiola

 Gae Aulenti .

Charlotte Perriand

Odile Decq.

Eileen Gray 

Lina Bo Bardi

Kazuyo Sejima  

Grafton Architects/ Shelley McNamara e Yvonne Farrell

Denise Scott Brown

 e mille altre protagoniste sconosciute che tanto hanno fatto per questa professione.


“Ho respirato la polvere dei cantieri fin dal giorno in cui sono nata(….)Fin da quando ho memoria, Roma è stata una foresta di ponteggi, crivellata di crateri.(….)Le strade erano percorse ogni  giorno da carri trainati da buoi, che trasportavano lastre di travertino oppure travi destinate a diventare impalcature e soffitti.

Plautilla  Bricci. L’architettrice di Melania G.Mazzucco. Einaudi editore

Plautilla e il sogno della balena

Tanti sono gli elementi antropologici e caratteriali che rendono la nostra Plautilla (nome piuttosto comune, paradossalmente, nella Roma del XVII secolo), e non riguardano solo l’affermazione di una donna talentuosa, pittrice e successivamente architettrice. Leggendo la sua biografia romanzata ma, fino ad un certo punto, da Melania Mazzucco, ci rendiamo conto di trovarci di fronte ad un archetipo di genere, ad una figura eponima che rappresenta una lezione professionale per tutte le generazioni fino alla fine del mondo.

Plautilla Bricci

Dunque entriamo nella carne viva della città e nel tempo in cui nasce, che non sembrano casuali Roma e il 1600 rappresentano per ogni essere umano una prova esistenziale di grande rilievo capace di forgiare caratteri, di creare opportunità, relazioni, ma anche trame, intrighi, omicidi e complotti, ad ogni angolo e ad ogni ora. L’arte a quel tempo permeava la vita di eserciti di garzoni di bottega, scalpellini, muratori, capomastri, incisori, tessitori, musici, castrati, mantenute, abati collezionisti compulsivi e pittori e architetti, scultori e mecenati che formavano il più imponente corpus di produttori e fruitori delle arti di sempre.

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 Niente di straordinario apparentemente nella vita e nella famiglia d’origine se non la volontà ossessiva di perseguire la conoscenza con i mezzi a disposizione e di indagare tutti i campi della materia creatrice, Giovanni, l’amorevole padre, non può insegnarle molto, ma la spinge a cercare la verità nelle forme, nelle parole, nei segni, nei colori, insomma un metodo che Lei non scorderà più nella sua lunga esistenza.

Chi è veramente questa Bricci e perché ha l’ardire di voler costruire case e palazzi? Ipotesi e idea sconveniente anche una fanciulla di rango molto superiore al suo, eppure questa bimba, ragazza, donna dona la sua vita alla ricerca della realizzazione del suo unico piacere, annullato nell’ardore di una vita di rinunce (non si sposa, non ama, non avrà figli come si conviene a quel tempo), in una specie di verginità intellettuale compressa in attesa del cantiere, del Suo cantiere.

Studia Plautilla e si istruisce da autodidatta o copiando le tele dei maestri che intasano le mille chiese di Roma, e produce opere dotate di fascino, anche se non particolare originalità. Eppure c’è un fondo di malinconia nel suo dipingere perché assomiglia ad una resa, ad una scelta obbligata, ad un ripiego, colto, ma secondario.

Plautilla vuole la pietra, vuole possedere i materiali che hanno fatto così magica e terribile la città eterna. Ha tempo e pazienza, e attraversa avversità e umiliazioni con grande e stoica serenità, tra sorelle e fratelli che costituiscono una colorata comunità incapace di intuire il suo frenetico ardire, la sua voglia di creare e declinare un mestiere al femminile, ma non sa bene come e quanto tempo ci vorrà per vederne i frutti.

Plautilla Bricci ha la fortuna di incontrare, discutere e confrontarsi anche se in modalità impari con i grandi del suo tempo da Pietro da Cortona a Bernini, ma impara anche il mestiere da chi il mestiere di pittore lo vive nella serena quotidianità meno splendente come Salvator Rosa o Giò Romanelli, e impara la lezione del rapporto tra arte e politica che negli ultimi venti secoli è stato fondamentale nella storia dell’umanità. Ci sono fortune anche nella vita di chi sembrerebbe dover svolgere una sana e tranquilla esistenza ai margini della Storia.

 La cronaca le regala una svolta nel destino e come sempre è un incontro, un uomo, un amore non consumato, un committente, un complice, un alter-ego capace di annullarsi nella sua figura ma di fagocitarne in seguito l’espressività.

Elpidio Romanelli è uno dei tanti giovani di belle speranze e di buona famiglia che è destinato a incrociare i destini d’Europa, e principalmente servendo Giulio Mazzarino e quindi il Re di Francia.

Plautilla ed Elpidio vivranno in simbiosi per tutta la vita senza mai dare un senso compiuto alla loro romantica storia d’amore sospesa dagli eventi (lui è pur sempre un prelato), lei ha sposato l’arte, ma sarà la loro complicità a realizzare il sogno dell’architettrice.

Passano Papi come Innocenzo X o Urbano VIII, cardinali e Favorite e Favoriti, oltre alla peste del 1634, descritta con un realismo impressionante e con similitudini straordinarie con la nostra contemporanea pandemia. Tra malinconiche amarezze e momenti di gloria illusoria, la Nostra Plautilla viene ammessa all’Accademia di San Luca (ma non può prendere la parola in quanto donna), il miraggio della pietra e dello stucco, del marmo e della fontana sembra restare incatenato nel “paese cerebrale delle idee”, tante, grezze, confuse e troppo lontane dal poter essere realizzate.

Villa Benedetta, Il Vascello

L’architettrice realizzerà una sola Opera che le racchiude tutte, e Villa Benedetta, detta quasi subito “Il Vascello”, immaginata come luogo di delizie per lei e l’amoroso committente, non vedrà mai da parte loro, la benché minima condivisione, il sogno del luogo delle passioni, dell’ardore e della bellezza si frantuma nell’impossibilità di poter essere vissuto e goduto. Ma la missione è compiuta: Amore ha creato una nuova figura, l’Architettrice accetterà che altri descrivano (Elpidio stesso sotto falso nome) quell’unica opera, monumento esistenziale, figlio/figlia e madre di tutte le necessità e rifugio di ogni desiderio.

Villa Benedetta, Il Vascello

La Signora Bricci può ritenersi soddisfatta e avrà molto tempo per ammirare, sia pure da lontano la sua unica creatura.

L’architettura si è riconciliata col genere, la più maschile delle arti ha trovato albergo nella sensibile e possente Plautilla capace di dipingere Madonne e battagliare con capomastri comacini, di immolarsi ad una verginità artistica e di guardare con rassegnato distacco al secolo che trasfigura le certezze estetiche che aveva visto nascere.

Non lascia eredi, e non rimane neppure il vascello, distrutto durante la presa di Roma da parte dei francesi nel 1849, ma tanto imponente è il disegno di questa donna capace di tenere testa ai grandi e piccoli ingegni del suo tempo e di riuscire a costruire, a realizzare la Sua fabbrica immortale, perché dopo essere stata minata e fatta brillare, il rudere è tornato ad essere Idea, Forza, Volontà di Potenza, e Amore, grande perché puro, infinito perché rimasto soltanto desiderio.

In questa pulsione e in questa necessità che va da Anassimandro a Nietzsche, c’è il seno stesso del costruire, del dare forma e senso ai nostri pensieri desideranti.

Neppure Plautilla avrebbe immaginato di poter dare una così grande lezione morale al mondo, di ieri e di oggi, agli uomini e alle donne che, in qualche parte del mondo vogliono soltanto, amare, essere amati, provare desiderio e diventare oggetto di questo desiderio, anche se lo chiamiamo per comodità: Architettura.

Pochissimi come Plautilla Bricci ci sono riuscite, e le donne sono ancora meno, ma sono solo quelle che resteranno nella storia per la loro capacità di insegnare, ed educare senza dire e o scrivere nulla, soltanto vivendo e creando ogni giorno della loro vita, per noi, soltanto per noi.

Per sempre.

“Tutte le cose grandi sembrano impossibili a chi delle cose grandi non è capace”

L’architettrice. Melania G.Mazzucco.Einaudi

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