Medini

Una singolare mostra all’ADI Design Museum di Milano mette a confronto due maestri del design italiano, ugualmente grandi ma che non potrebbero essere di più agli antipodi culturali.

In tutta la storia dell’architettura e del design in Italia sarebbe impossibile trovare due autori più agli antipodi culturali di Marco Zanuso e Alessandro Mendini. Infaticabile “macchina vivente tutta fatta per progettare”* il primo, come lo definì proprio il secondo – votato invece all’esercizio del dubbio, della critica e anche della satira dell’intero sistema del progetto – i due hanno paradossalmente definito la figura del tipico designer italiano (meglio, milanese) con tutti i suoi valori e convinzioni, ma anche profonde contraddizioni. Anagraficamente distanti una quindicina d’anni, grazie alla precocità di Mendini e al suo profilarsi presto come una figura di rilievo sulla scena della cultura del progetto, possono “esistenzialmente” essere considerati quasi dei coetanei, almeno per come hanno vissuto parallelamente l’age d’or della cultura italiana del progetto.

Zanuso producendo una quantità eccezionale di prodotti industriali come autentiche invenzioni, pieno di fiducia in se stesso e nei poteri magici della tecnologia; Mendini – dopo un periodo non troppo convinto in cui è architetto convenzionale, seppur nell’officina altamente creativa di Nizzoli Associati – con il suo sguardo ammirato e allo stesso tempo “radicale” sull’incredibile boom dell’industria e del design tra gli anni 60 e 70, che lo porta a cercare di smontare, tanto affettuosamente quanto implacabilmente, i meccanismi di quel sistema con tutti i modi possibili, dalle performance all’intensa attività di scrittura.

Marco Zanuso ritratto negli anni ’60

Eppure, al di là delle possibili e effettive divergenze tra loro nella visione dei problemi dell’architettura e dell’abitare, c’è curiosamente un terreno comune su cui si trovano, seppure a distanza di anni, a lavorare: quello dell’informazione “pedagogica” attraverso le due grandi, fondamentali riviste italiane, Domus e Casabella. Marco Zanuso, quando Gio Ponti – un po’ per le note divergenze con Giovanni Mazzocchi (editore di tutt’e due le riviste), un po’ per il clima difficile nell’immediato dopoguerra causa i suoi trascorsi di regime – lascia libera la direzione di Domus, Zanuso ne diventa capo redattore, se pure per un breve periodo (1946/47), chiamato da Ernesto Rogers a sua volta nominato direttore da Mazzocchi. Nel 1953 tornano insieme a Casabella: Rogers nuovamente direttore, Zanuso redattore (insieme a Vittorio Gregotti e Giancarlo De Carlo).

In tutte e due le riviste Zanuso è particolarmente interessato ai temi – davvero urgenti all’epoca – della ripresa della produzione industriale e della prefabbricazione edilizia, ma è a Casabella, divenuta Casabella-Continuità, che ha modo di sviluppare più a fondo il tema che gli sta più a cuore. Lasciata nel 1956/57 la rivista a Rogers, “in punta di piedi” come scrive Luigi Prestinenza Puglisi** e come nel suo stile di autentico gentleman, Zanuso si dedica ancora più intensamente alla progettazione, dispiegando le sue qualità di eccezionale inventore di oggetti precisi e infallibili, almeno formalmente. Con un paragone azzardato ma non improbabile che mi è capitato di scrivere in tempi insospettabili, quando Zanuso era ancora attivissimo e centrale nello scenario del design industriale, si può definirlo un “infaticabile lavoratore costruttivista”***.

 Alessandro Mendini sulla sua “Poltrona di Proust”, versione Magis, 2015. Archivio Mendini. foto Carlo Lavatori

Degli artisti e architetti russi d’avanguardia (poi sovietici) Zanuso ha seriamente la stessa fiducia nel “Sol dell’Avvenire”, nella vocazione positiva dell’industria, dei suoi prodotti ben disegnati e della qualità della vita che essa può generare: ma non delega nulla, o molto poco, al sistema della produzione perché vuole essere lui stesso uomo/fabbrica, potenzialmente in grado di sviluppare un intero prodotto dall’idea alla produzione di serie. I tempi della sua supremazia sono altri, lontani dai processi che ormai hanno quasi tolto ai designer attuali la maggior parte delle competenze, per ridursi a ingraziosire – con poche eccezioni – le bizzarrie del marketing o degli ultimi industriali/padroni ancora rimasti.

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Eppure è proprio in quel mondo lontano di collaborazione quasi ideale da progettisti e committenti che Zanuso ha potuto inventare veramente tipologie prima inesistenti, facendo suo e migliorando proprio lo slogan sovietico “Ingegneri create nuove forme”, dimenticando a memoria tutti gli stili e le “firme” che lo hanno preceduto, passando da un telefono organico come il celeberrimo “Grillo” Siemens a un tavolo purista come il Marcuso per Zanotta.

“Non crede si possa operare con elementi stilistici prestabiliti, disprezza lo stile aerodinamico che fa assomigliare automobili, ferri da stiro e motoscafi, ma anche quello “cubico” che vorrebbe geometrizzare il mondo, case e sederi compresi.” ****

M. Zanuso (con R. Sapper), TV portatile Algol, Brionvega, 1964

Tutto il contrario appunto del progetto per Mendini, che per tutta la seconda grande fase del suo lavoro – chiusa l’esperienza “radicale”, per intendersi – ha tentato di definire un suo stile formale e cromatico inequivocabile, ripetendo su centinaia di oggetti lo stesso pattern “Proust” e teorizzando proprio l’uso di “stilemi” decorativi: non con un certo successo, soprattutto nel lavoro nell’arredamento e per i casalinghi Alessi. Anche per Mendini il percorso per arrivare a questo cinismo romantico e a volte un po’ decadente passa però dall’esperienza delle riviste, esattamente le stesse attraverso cui passa Zanuso: prima Casabella, poi Domus, anche se con tutt’altro sviluppo ed esito.

A rileggere bene i documenti – contrariamente alla leggenda di una Casabella “rivoluzionaria” nata dal nulla o meglio di grandi movimenti alternativi di fine anni 60 sia in cultura che in politica – anche il processo di appropriazione della rivista da parte di Mendini e del suo gruppo di colleghi/amici dell’area “radical” è piuttosto lungo: e ha le sue radici proprio nell’impostazione progressista, legata all’ideologia modernista e alle tematiche sociali dell’architettura, data alla rivista dallo stesso Rogers, che di Mendini è amico e in qualche modo mentore. Così, già quando l’editore Giovanni Mazzocchi decide di cedere la proprietà di Casabella e Rogers è costretto a lasciare la direzione che il nuovo editore affida dal 1965 a Gian Antonio Bernasconi, Mendini entra nella rivista con l’importante ruolo di redattore e inizia subito uno slalom tra quello che è ancora in qualche modo il lascito modernista di Rogers e la sua irrequietezza di intellettuale borghese progressista.

Tempo cinque anni e Mendini diventa direttore di Casabella (non più col suffisso Continuità) e, convertito sulla via di Damasco, dal giugno 1970 al maggio 1976 produce una lunga serie di numeri oggi storicizzati come la testimonianza più affascinante dell’ultima stagione dell’utopia di un’avanguardia progettuale italiana, appunto “radicale”.

Alessandro Mendini, Costume per donna e arpa, 1976

In realtà la voce dell’Architettura Radicale, prima ancora che il critico d’arte Germano Celant ne desse questa definizione, aveva iniziato a farsi sentire già qualche anno prima su Domus, dove è Ettore Sottsass a introdurre le tesi di Superstudio, Archizoom e altri gruppi o individui che stanno mettendo sotto accusa il sistema dell’establishment progettuale italiano: o perlomeno di quella sua fronda che si identifica all’incirca con la tradizione modernista lombarda e le sue diramazioni romane e fiorentine. Eppure è Mendini a portare allora, e ancora oggi, tra le sue tante medaglie al valore critico/intellettuale, quella di una riconversione di Casabella, per 40 anni house-organ del modernismo (per quanto via via aggiornato) a qualcosa di non meglio precisato ma che sicuramente si pone al suo opposto.

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Destino vuole che sarà proprio all’uscita da Casabella che Mendini avrà l’occasione di “fare i conti” coi maestri modernisti in quella straordinaria mostra e soprattutto libro “Il design italiano degli anni Cinquanta”, madre e padre di tutti i revival ma anche scanzonata e scenografica ricostruzione di un immaginario dell’ age d’or modernista italiana: che i curatori del grande progetto presentato al Centro Kappa/Kartell riusciranno a far risultare eclettico e, per certi aspetti, precursore del postmodernismo, che allora inizia a impazzare come tema della discussione e della pratica del progetto. È in quel libro che insieme a Ignazio Gardella, BBPR, Vittoriano Viganò, Gio Ponti, Carlo Mollino, Franco Albini, Mendini dipinge con evidente ammirazione, solo a volte venata di leggera ironia, anche la figura grandiosa di Zanuso designer.

A. Mendini et al., copertina della rivista Casabella, n. 367, 1972 

“Egli racchiude in sé una specie di motore potente, una qualità alta e costante, una tecnica ineccepibile, una precisione organizzativa, una organicità formale non sfiorabile da alcun dubbio. Queste doti lo rendono un professionista, perfetto risolutore dei problemi progettuali di ogni committente che voglia garantire al suo prodotto un esito sicuro e valido.”

E ancora: “Nessuna compiacenza al consumo, nessuna incrostazione culturale, nessuna retorica stilistica, ma oggetti compatti, precisi, utili, necessari come il loro ideatore: così esatti e inattaccabili da fare addirittura rabbia.” *****

Non si conoscono le reazioni a questo scritto del personaggio ritratto così bene e con tanta ammirazione, ma è certo che in quegli anni (1977/78) Zanuso è ancora uno dei designer italiani di più grande successo: e le parole scritte da Mendini rimangono ancora nella memoria di chi scrive, allora molto giovane, come un modo di omaggiare un grande maestro, senza metterlo su un piedistallo ma anzi riportandolo a una dimensione ragionevolmente umana. Il caso ha voluto che abbia poi avuto modo di conoscere Zanuso negli anni della preparazione del libro scritto sulla produzione Zanotta****** e nei pochi incontri che abbiamo avuto l’impressione era certamente quella descritta da Mendini: ma con in più un tratto di profonda umanità, forse dovuto all’età dell’interlocutore, poco più che studente, diciamo uno studente fuori corso, che al professor Marco Zanuso – docente per oltre quarant’anni, inclusi quelli al Politecnico di Milano – non poteva che ispirare desiderio di trasmettere, seppure con molto understatement, l’esperienza di un autentico pioniere.

Marco Zanuso, fabbrica Olivetti a Merlo (Argentina), 1954/63

Sempre per i casi della vita, qualcosa di simile mi capitava già da qualche anno con Mendini, con cui abbiamo iniziato a collaborare nel lontanissimo 1979 proprio a Domus, dove era arrivato con la grande missione di riprendere la rivista dalle mani di Gio Ponti (per l’età e i malanni non più in grado di condurla) e con cui ebbe probabilmente il suo più grande trionfo di intellettuale critico ma non troppo, trovando il perfetto equilibrio tra necessità imprenditoriali dell’editore e quelle espressive sue e della larga schiera di amici e sodali con cui ha pilotato l’esperienza italiana del post-modern. Per poi tornare, con un balzo di venticinque anni, a dirigerla ancora per un breve periodo, ancora insieme, dal 2010 al 2011. 

A distanza di molto tempo, ora che né Zanuso né Mendini ci sono più, resta la loro enorme influenza su chiunque nel difficile mestiere del progettare abbia riguardo e memoria di un’eredità storica con cui è difficile non confrontarsi. E piace pensare, romanticamente, che forse in qualche empireo dell’architettura e del design i due abbiano ripreso la conversazione che – troppo impegnati nei loro obiettivi – non hanno avuto modo di condurre più ampiamente in vita. Chissà quali scoperte avrebbero potuto fare e farci conoscere.

*Questo testo è pubblicato, in versione più sintetica, nel catalogo della mostra “Marco Zanuso. Alessandro Mendini. Design e Architettura”, curata da Pierluigi Nicolin e Maite Garcia Sanchís

 all’ADI Design Museum di Milano, aperta fino al 12 giugno 2022.

Note

* Alessandro Mendini, Marco Zanuso, in Il design italiano degli anni Cinquanta, Editoriale Domus/IGIS, Milano 1980, p. 134

** Luigi Prestinenza Puglisi, Architetti d’Italia. Ernesto Nathan Rogers, il respingente, in Artribune, 18.2.2022

*** Stefano Casciani, L’arte dell’utopia. Il design italiano degli anni 50, in, Stefano Casciani/AA.VV, Design in Italia 1950/1990, Giancarlo Politi Editore, Milano 1991, p. 20

**** Stefano Casciani, L’arte dell’utopia. Il design italiano degli anni 50, ibidem

***** Alessandro Mendini, Marco Zanuso, ibidem

****** Stefano Casciani, Mobili come architetture. Il disegno della produzione Zanotta, Arcadia, Milano 1984 e 1988


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