Modus architects - fieldhouse

“Est modus in rebus” sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum”, «v’è una misura nelle cose; vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto».

Orazio (Satire I, 1, vv. 106-107)

Chissà se il gruppo italo-egiziano Modus Architects (Matteo Scagnol, Trieste e Sandy Attia, Cairo) con base a Bressanone ha preso spunto da Orazio e dalle Satire come epigrafe per il loro lavoro, la loro ricerca, un’idea assoluta di “giusto” che potrebbe sembrare in contrasto se non in conflitto, con le cronache dell’adesso con cui deve lottare l’architettura contemporanea.

Nella citazione ci sono alcuni concetti che definiscono la filosofia dello studio ed essenzialmente “misura”, “confini”, “giusto”: v’è una misura nelle cose che stabilisce il principio della nostra azione di progettisti, una specie di confine invalicabile dove la cultura del progetto si esprime.

Modus è tutto questo e molto altro, e il progetto vincitore di uno dei premi In/Architettura 2023, lo dimostra in senso paradigmatico.

Nel nome Fieldhouse c’è il programma intrinseco dell’opera, un piccolo intervento che definisce lo spazio di un comune del Trentino alto Adige tra la Montagna e il Fiume, contro la roccia e verso l’acqua del fiume.

In questa Casa-Campo-Calcio, formata da molte semplici funzioni e da altrettante polifonie formali, Modus Architects inventa una nuova visone dello spazio da quando nasce a quando ambisce ad “essere pubblico”, vuole simboleggiare l’adesione dell’architettura ai principi di convivenza civile e di identità, autoctoni.

Con pochi gesti formali e funzionali si costruisce il Luogo dove la comunità è raccolta, si incontra, gioca e vive nella quotidianità lenta di quei paesaggi.

Questa fieldhouse, la Casa del Campo, dialoga con i manufatti esistenti e con le bellezze ambientali, pur mantenendo una sua significativa “volontà di potenza artificiale”, quell’artificio prossimo all’arte architettonica che deve separare la natura, come precondizione del contesto, e cultura, inteso come attività progettante e colta dell’architetto.

La natura è cultura, la cultura è natura, soprattutto quando l’idea-matrice compone uno scenario già profondamente metabolizzato, una costruzione di linee, volumi e segni profondamente e potentemente contemporanei.

Il rapporto tra volume e funzione è volutamente composto come in una dissolvenza incrociata, guardiamo l’architettura nella sua forma e nella sua purezza ma la colonizzazione dello spazio, il suo uso multiforme è il un passo successivo, dopo lo sguardo e dopo il suono che il progetto ci consegna, come dono dell’intelletto

Un’esperienza emotiva prima che un’esigenza che risolve i problemi e le esigenze del piccolo borgo, una lezione di composizione silenziosa, scientifica, urbana, nello slancio metafisico perfettamente controllato, un fossile contemporaneo, una tettonica esistenziale, e finalmente l’architettura ritorna ad essere idea, concetto, confine, “geometria quantistica”: energia, campo, onda.

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Modus interpreta una modalità antica ma sempre evoluzionistica della progettazione, dice solo quello che è necessario, e nasconde solo quello che risulterebbe superfluo, come una teoria, come quell’assioma che non prevede principi di indeterminazione, ecco il “compimento dell’estetica dell’essenza e dell’etica dell’essenziale, compressi nella materia artificiale del mondo.

Una scelta molto coraggiosa e in controtendenza di In/Arch perché nasce dalla approfondita “analitica delle prassi”, che è molto più e molto diversa da quanto gli architetti volessero comunicarci, perché questo è il significato puro della critica che è disciplina autonoma e non consequenziale del suo campo scientifico d’indagine, l’architettura come “scienza e tecnica della meraviglia” che vive lontana dagli autori che sommamente l’hanno prodotta.

In questo, credo che il significato dei premi sia molto stimolante per una serie di discipline complanari, dalla filosofia, alle scienze, dalle arti plastiche, alla scrittura, appunto, tutte insieme o separatamente contribuiscono a creare i punti di svolta della società culturale contemporanea, mettendo in discussione o incensando i veri e significativi processi puntuali e innovativi di ogni civiltà.

Forse è un modo di raccontare fuori dagli schemi consueti ma serve a creare momenti dialettici e nuove discese verso il mistero della creazione, oggi più che mai in pericolo, oppressa dall’utilitarismo pauperistico e dal formalismo dell’anti-grazioso.

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Orizzontale e verticale si amano in questo progetto con l’uso sapiente delle proporzioni, con una sequenza armonica di vuoti e di pieni, di materie trasparenti o di lastre di pietra, positivo e negativo energetico dialogano rincorrendo le diverse funzioni, con punti di vista prospettici sorprendenti: architettura che ri-definisce il luogo alla sua scala territoriale.

Modus Architects hanno raccolto la sfida della loro comunità e l’hanno vinta, non è più tempo per le frenesie iconiche (come direbbero i magazine di moda), ma vogliono tornare a casa dove l’architettura è cominciata, vogliono raccontare la loro( e la nostra)idea di Mondo, dove ogni segno, ogni tracciato equivale a quella scelta, “quel confine dove al di qua e al di là non ci può essere il giusto”.

Noi siamo d’accordo con loro (e, naturalmente, con Orazio).


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