
Nonostante la sua fortuna sia maggiore in Francia che in Italia, Cristina di Pizan emerge dalle tenebre della storia come figura femminile di grande talento, forza scenica e determinazione morale. Rimasta vedova in giovanissima età riuscì a mantenere se stessa e la propria famiglia in punta di penna, diventando richiestissima e apprezzata scrittrice professionista.
Un ritratto di autentica femminista, intesa come donna che rispetta e difende l’altra metà del cielo, promuovendone la libertà e indipendenza (non ultima economica), in un’epoca in cui la società maschilista ricacciava le donne negli angoli più bui dell’esistenza. Cristina seppe innalzare la sua immaginazione e plasmare una città popolata da sole figure femminili di nobili virtù, in risposta ad una società violenta e dai feroci tratti maschilisti. In una società come la nostra, attraversata da una continua scia di sangue e strisciante misoginismo, vale la pena ricordare la vita e le opere di questa vibrante intellettuale.
Christine ha fatto della sete di conoscenza una professione e la finalità ultima del suo essere.
Fu la volontà del padre ad aprirle le porte del sapere e dello studio, che segnò il destino di questa fanciulla. Le fu concesso di accedere ad un livello di istruzione elevato, superiore a quello riservato tradizionalmente alle donne, educate per diventare mogli, madri o religiose, istruite separatamente dai maschi e per un periodo più breve. Di questa ottima istruzione fu sempre grata al padre, che seppe nutrire il suo indubbio talento e indirizzare la sua forza intellettuale: il sapere come leva della sua ambizione.
Una donna educata come un uomo, rimasta sola per volere del fato, si trova a dover agire come un uomo dimostrando una capacità di adattamento, un’efficacia e un’aderenza al proprio desiderio davvero esemplari. Scrittrice poliedrica e devota, a suo agio con vari generi letterari: dalla poesia all’elogio, dalla storiografia al pamphlet, la sua scrittura è strumento di emancipazione, mezzo di sostentamento per sé e per la propria famiglia, luogo della decostruzione della tradizione misogina e strumento per la costruzione di una genealogia femminile. Nei suoi scritti la consapevolezza della differenza è la leva che scardina la misoginia maschile, idolo polemico di gran parte della sua produzione.
Un primo segnale di questa forza è la partecipazione a una diatriba sul ruolo sociale delle donne, la querelle des femmes, dove Christine attua una presa di parola inedita, se pensiamo che all’epoca parlare pubblicamente per una donna, non legittimata né dalla regalità né da un’autorità religiosa o profetica, significava infrangere un interdetto sociale.
Christine de Pizan entra dunque a far parte a pieno titolo di quel mondo di “moderni” intellettuali, che iniziano ad affermarsi nell’autunno del medioevo (così definito da Huizing), epoca storica di radicali mutamenti e conflitti. La sua si staglia come figura consapevole della propria autorità, che dipende dalla corte sul piano materiale, più che per l’ispirazione poetica, avvalorata da una forte spinta innovatrice. La sua è una voce femminile “fuori dal coro” colta e laica: scrittrice di professione, protagonista di un ambizioso ambiente urbano e non protetta entro le mura di un edificio religioso. Da Venezia a Parigi Christine, che era nata nella Serenissima Repubblica nel 1365, si trasferì in Francia alla tenera età di cinque anni, al seguito del colto padre Tommaso, che aveva accettato l’incarico di medico e astrologo del re (come l’autrice stessa ci racconta con ricchezza di informazioni nell’Avision).

Sia il padre che il nonno di Christine de Pizan erano valorosi rappresentanti della schiera di intellettuali universitari, entrambi al servizio della Repubblica di Venezia; il padre Tommaso, originario di Pizzano, una piccola frazione incastonata nei colli Bolognesi e da cui il nome Pizan, in quella stessa città aveva studiato e insegnato medicina e astrologia. Il suo prestigio era tale da essere convocato a Parigi dal re Carlo V, tra i sovrani più illuminati dell’epoca, amante del sapere e delle arti, che era solito circondarsi di intellettuali e savants. Christine stessa si prodiga scrivendo un’incantevole descrizione della Biblioteca Reale del Louvre, unica nel suo genere in Europa, costituita da centinaia di preziosi volumi miniati.
A quindici anni Christine andò in sposa – come molte fanciulle della sua età – a un giovane gentiluomo piccardo, Étienne de Castel, destinato a fare una brillante e ben remunerata carriera a corte, diventando cancelliere e segretario del re, una carica riservata all’epoca all’élite intellettuale. Étienne e Christine ebbero tre figli e una vita serena e agiata, che impediva altresì a Christine di dedicarsi alla sua passione letteraria.
Christine si trovò improvvisamente a dover affrontare i rovesci della sorte che si abbatterono su di lei e la sua famiglia, e che avrebbero sconvolto la sua vita. A venticinque anni, il suo sposo Étienne venne colpito a morte da una malattia, forse la peste, mentre si trovava con il sovrano a Beauvais. Il breve matrimonio era stata un’esperienza di felicità, spesso ricordata in seguito con dolore e rimpianto in liriche che lasciano spazio a una poetica intima e personale. Christine rimane sola, “seulete”, come avrebbe scritto qualche anno più tardi in una commovente ballade. Ma non possiamo cinicamente notare che questa mancanza e la necessità di provvedere alle impellenti questioni economiche, le indicarono la via da seguire: tornare a occuparsi a tempo pieno delle sue attività di studio e di scrittura.
Di recente Christine de Pizan è stata riscoperta e definita scrittrice della “memoria”; dalla sua opera emerge infatti una volontaria e continua strategia di costruzione della propria memoria, soggetto intellettuale nuovo e femminile. Una strategia che utilizza due specifici linguaggi – che Christine domina alla perfezione – in stretta relazione tra loro: la scrittura e l’immagine. In questa opera di costruzione della memoria, si possono distinguere vari strati: Christine è sì artefice della memoria del re, tanto quanto lo è delle donne.
La biografia di Carlo V, Le livre des fais et bonnes meurs du sage roy Charles V si fa notare a corte per un’opera impegnativa e di grande prestigio (commissionata da Filippo l’Ardito in ricordo del defunto e rimpianto re Carlo V il Saggio). La memoria delle donne la porta ad attraversare la costruzione di un nuovo immaginario femminile modellato intorno all’idea utopica di città, La Città delle Dame che risale al 1405. Dalle fondamenta fin sulle alte torri, l’opera si dipana intorno a donne nobili per virtú – che si distinguono per grandezza d’animo, coraggio, lealtà – un’idea affine a quella di virtus classica, non piú solo di nascita. La città è uno spazio immaginario, ma aperto alle donne di tutti i tempi, poiché dal tempo non può essere scalfita, modello di eterna perfezione, vasto archivio della memoria femminile.
Ma la memoria in Christine de Pizan è anche e soprattutto memoria delle donne in Occidente.
Ben prima di Kafka, la sua metamorfosi (raccontata nel libro de la mutacion de Fortune) le permette di sperimentare, almeno in sogno, la trascendentale esperienza di vedersi trasfigurata in uomo con la capacità “che egli aveva nel ben governare, sapeva perfettamente guidare una nave in ogni stagione». Questa trasformazione le permise di entrare in contatto con un corpo finalmente virile tanto da esclamare: “Mi ritrovai con un animo forte e ardito, di cui mi stupivo, ma capii di essere diventata un vero uomo ». Ne La metamorfosi da donna a uomo, emerge la metafora del cambiamento, da un’identità femminile, passiva, a una maschile, attiva, di chi guida senza difficoltà la propria vita. La leggerezza del corpo, che ha il sapore della libertà e del movimento, è attribuita al genere maschile; ritroviamo la stessa leggerezza nella Cité, quando Christine comincia a scavare le fondamenta della sua Città, aiutata da Ragione.
La rinuncia completa alle distrazioni del matrimonio, è simbolica del passaggio per Christine ad una vita piú autonoma e responsabilizzata, normalmente riservata agli uomini, e pertanto ritenuta all’altezza del carattere maschile.
Christine de Pizan è ancora piú esplicita nel Livre de la Cité des Dames, quando parla del suo (sul filo della più sottile e sofisticata ironia) rammarico di non essere nata maschio. Nasce dalla lettura di un libro violentemente misogino, le Lamentations de Matheolus, opera latina del XIII secolo (in seguito tradotta in francese da Jehan le Fèvre nel 1370) il pretesto narrativo per la costruzione della sua città-libro. Il primo passo è la riflessione sulla propria identità di genere e sulle affermazioni di tanti autori importanti “Timoniera di una nave rimasta in mezzo alla tempesta e senza capitano”. Inizia così la doléance di Christine, che lascia trapelare una sorta di malcelata ironia, necessario escamotage letterario all’entrata in scena delle tre Dame. Tre figure allegoriche – Ragione, Rettitudine e Giustizia – che offrono di consolarla e costruire insieme a lei una città ideale. Christine è ritratto in piedi, nel suo studiolo, con due libri davanti a sé: uno chiuso e uno aperto, che lei indica con la mano destra.
LEGGI ANCHE:
Le Dame incoronate hanno in mano gli strumenti della misura che serviranno a costruire la città. Questa immagine può essere tradotta come primo esempio di comunità femminile, ambasciatrice di quella piú ampia che abiterà realmente la Città. Nella parte destra, le prime fasi della costruzione delle fondamenta e delle mura: Ragione aiuta Christine, che ha in mano una cazzuola, a sollevare le pietre e a posarle insieme a lei. Queste due scene collegate rafforzano l’idea della scrittura come costruzione architettonica e di Christine come rifondatrice di una nuova tradizione letteraria. Sia la scrittura del libro che l’architettura della Città presuppongono un ordine, una misura, delle proporzioni, principi di costruzione, che si contrappongono all’immagine del labirinto, simbolo di una femminilità minacciosa, contorta, divorante.
Le qualità delle tre dame che entrano nella sfera d’azione di Christine, nella triade Ragione, Rettitudine, Giustizia, sono intimamente connesse al concetto di equilibrata misura, rappresentata dagli oggetti simbolici che ognuna di esse reca con sé. Ragione porta nella mano destra uno specchio splendente, incorniciato da pietre preziose, che ha la proprietà di rivelare a chiunque vi si guardi l’essenza del proprio essere; inoltre è uno specchio indispensabile per qualsiasi cosa.
Rettitudine impugna, a guisa di scettro, una retta luminosa, metafora della giusta misura. Spetterà a lei narrare le storie delle profetesse, delle Sibille, gli esempi di pietà filiale, di fedeltà in amore, di castità e di forza di carattere. Giustizia, la cui natura è divina e serve a misurare ciò che è dovuto a ognuno, aiuterà Christine a completare la sua opera, con la costruzione delle cime delle torri e dei palazzi, tutti d’oro. Suo sarà anche il compito di popolare la città, con le storie delle sante e delle martiri e di accogliere la Vergine come loro Regina.
Ragione invita Christine ad andare con lei nel Campo delle Lettere per cominciare a scavare con la zappa della sua intelligenza: «misurare gli edifici della città che dovrai costruire; e ne avrai certo bisogno per edificare l’interno di quella città, innalzare gli alti templi, disegnare e costruire i palazzi, le case e tutti gli edifici pubblici, le strade e le piazze e ogni cosa necessaria perché sia abitabile ». Per costruire una bella città occorre ripulire il terreno dalle sporche pietre nere e grossolane, che affollano di pregiudizi e luoghi comuni l’emisfero femminile, e dei principali difetti vivisezionati uno ad uno.
Di converso, le belle pietre rilucenti, sono donne nobili – le cui storie danno corpo alla città. Una città perfetta, bella senza pari ed eterna, che non decadrà mai, nonostante i violenti assalti dei nemici; la natura della Città è tale che le loro abitanti, libere da ogni legame di tipo patriarcale, non potranno essere mai cacciate. Il nuovo regno delle Donne è piú degno di quello di un tempo, Christine dichiara che la sua scrittura è organizzata con la razionalità e la complessità di un progetto architettonico, e in questo modo si appropria di un altro linguaggio tradizionalmente maschile.
La costruzione, o meglio ricostruzione della tradizione letteraria, si configura come un atto innovativo, di rifondazione. La Cité des Dames, rimane lucido monito nei secoli e modello per le coraggiose scrittrici che hanno seguito le orme di Christine de Pizan. Se non il piú noto, certamente quello piú letto e dibattuto, basta contare le molteplici traduzioni nelle principali lingue moderne, per capire l’enorme interesse suscitato da questa curiosa costruzione architettonica-letteraria.
Christine stessa, dalla cui opera traspare una notevole stima di sé e delle proprie capacità intellettuali, apre alla riflessione sull’educazione delle fanciulle e la generale (per quanto immotivata) esclusione delle donne dalle lettere finisce per diventare un tema centrale delle sue opere e del suo pensiero.
Fonte: Una Città per sé, a cura di P. Caraffi, Roma, Carocci, 2003.
Patrizia Caraffi Il Libro e la Città: metafore architettoniche e costruzione di una genealogia femminile
Seguici sui nostri canali per restare sempre aggiornato: