
“Mentre dovunque fuori dai confini della patria, il paesaggio ha trovato ogni difesa nel legislatore, in Italia, il problema, che deve imporre il divieto di alterazione o distruzione delle nostre bellezze naturali, è ancora da risolvere”. (Fratelli Alinari, Il paesaggio italico nella Divina Commedia, 1921)
Il paesaggio è: prima racconto, poi disegno, quindi fotografia. Questa la traccia che segue Franco Farinelli, già docente di Geografia nelle Università di Bologna, Ginevra, Berkeley e Parigi, nel suo saggio che dà ragione a un concetto, quello di “paesaggio”, che ha governato la geografia umana tra Ottocento e Novecento. Ma quali sono in sintesi gli elementi necessari per l’esistenza di un paesaggio: un osservatore, un punto di vista minimamente rialzato, un panorama, una giornata luminosa. Oggi, con quella che viene definita informatizzazione dello spazio (non ci scambiamo più lettere, cioè oggetti, ma messaggi), la miniaturizzazione del mondo, spiega l’autore: “Fa diventare più incerta e problematica la decifrazione del rapporto tra quel che si vede e il funzionamento del mondo”. Cioè diventa sempre più difficile leggere le tracce dell’uomo sulla Terra, prima di tutte quelle che compongono il paesaggio, il nostro orizzonte che si articola in elementi non soltanto naturali ma anche artificiali, a portata del nostro sguardo.
Il capitolo iniziale è dedicato ad Alexander von Humboldt che alla fine del Settecento sperpera l’intera eredità per intraprendere il più costoso viaggio di esplorazione scientifica mai compiuto da un privato, e dopo il quale i viaggi di esplorazione a quella scala mutano da faccende personali a questioni di Stato (dato il costo diventato esorbitante).

E se poi andiamo a vedere come gli esploratori affrontavano il loro viaggio, quasi a favorire l’immedesimazione con i protagonisti, questi vengono ritratti mentre attraversano giungle, deserti e mari con gli stessi abiti di chi legge; poi al viaggio “sentimentale” dei primi esploratori si sostituisce il viaggio “pittoresco”, teso alla riproduzione fedele e precisa delle cose. E allora, accanto ai monumenti, compaiono anche cave, saline, tonnare: la conoscenza del mondo si amplia a dismisura.
Diventa protagonista anche il Meridione italiano (considerato ancora alla fine del Settecento un Paese tropicale, fondato sulla fusione di archeologia ed esotismo), dove all’orizzonte dell’immagine pittoresca spesso viene dipinto un vulcano in eruzione, metafora esplicita dell’imminente rivoluzione e della naturalità del suo scoppio.
Franco Farinelli considera come opera di riferimento fondamentale alla geografia “Il paesaggio terrestre”, volume pubblicato nel 1947 da Renato Biasutti, la cui analisi si fonda sull’intreccio delle manifestazioni riconducibili a quattro ordini di fenomeni fisici: climatici, morfologici, idrografici e quelli propri al mantello vegetale: dalla loro combinazione emergono 34 tipi fondamentali di paesaggio che in una mirabile sintesi esauriscono le forme possibili presenti sulla faccia della Terra.
Ma se il paesaggio, cioè quello che è visibile, è plasmato (ed edificato) da quello che è invisibile, cioè economia, cultura, politica: “Davvero – si chiede l’autore – è possibile limitarsi alla conservazione, comunque problematica, di tutto quel che resta dei lineamenti del passato, della faccia della Terra che abbiamo ereditato?”.
TWITTA:Franco Farinelli
Il Paesaggio che ci riguarda
Touring Club Italiano, 2024
pp. 120
Isbn 9788836582990
Recensione di Danilo Premoli – Office Observer
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