violenza sulle donne

Non basta una giornata! Serve a ricordare, combattere, sensibilizzare, tentare di penetrare la coltre d’indifferenza o la corazza di atarassia che avvinghia la questione (che femminile non è) della violenza sulle donne? Davanti agli occhi la desolante immagine di un’aula dei deputati vuota (nonostante i tentativi di camuffare la realtà con stretti primi piani sulla sconsolata oratrice) mentre parla la Ministra Elena Bonetti a favore della difesa delle donne, nel solco della retorica contro la violenza di genere e il conteggio dei femminicidi. Un altro anno è trascorso, puntellato da scarpe e panchine rosse, bla bla e dibattiti, denunce e restrizioni, passi avanti e dilagare del Revenge porn come arma di ricatto utilizzata in rete anche dai giovanissimi. Un anno che, ammettiamolo, ci lascia sempre più ferite infette e carni vive esposte in un mondo malato. Sulle note di “Lella per sempre”, a mezzo secolo dall’uscita della canzone che ha segnato un’epoca e intaccato l’ingenuità di una generazione, siamo ancora qui in ascolto dello stesso brano – arrangiato e riscritto- alla ricerca di una speranza nelle variazioni apportate da altri cantautori, musicisti, attori per finalità benefiche.

Un lavoro editoriale che ha posto al suo centro di gravità donne guerriere, leonesse del Bauhaus riscoperte in una luce lunare (gettando qualche ombra sulla loro controparte maschile). Un anno denso di ricerche e approfondimenti ci ha condotto a dar voce a protagoniste della cultura del progetto e delle arti nel senso più ampio e ricco possibile. Dal laboratorio della scuola di Weimer sono nate fotografe, designer, progettiste, maestre di tessitura, scenografe e costumiste dalla sorprendente passione e dirompente forza creatrice (tanto da spezzare le catene che le confinavano al telaio).

Una breve, seppur significativa (per noi), antologia sulle vite e le opere del profondo universo femminile del quale s’intravede il fondo ancora inesplorato. Abbiamo viaggiato fino al Campus Vitra a Weil am Rhein, in Germania per scoprire l’opera dell’artista e designer Nathalie Du Pasquier (a fianco della Fire Station progettata da Zaha Hadid). Un luogo iconico che ha ospitato una mostra sul ruolo delle donne nel mondo del design e del mobile. Here We Are! Women in Design 1900 – today» – è un progetto che parte dai prodotti e manufatti industriali per parlare di vita e delle condizioni di lavoro delle loro creatrici dalla prima modernità a oggi.

Abbiamo gettato uno sguardo alle Signore dell’Arte a Palazzo Reale: Storie di donne tra ‘500 e ‘600″, l’arte e l’esistenza indissolubilmente legate tra loro, un percorso narrativo di donne forse troppo “moderne”, come spesso accade a figure femminile scomode, protese verso il futuro senza rete di salvataggio.

Si chiedeva, legittimamente, Margherita Hack nella prefazione a La Storia di Ipazia “come potrebbe essere il mondo oggi e con quanti secoli di anticipo avremmo conseguito le conquiste moderne, se persone come Ipazia fossero state lasciate libere di esprimersi e di agire”. Una vita luminosa, interamente consacrata alla conoscenza, destinata a tingersi rosso sangue, fino all’estremo sacrificio. La voce narrante della stessa Ipazia ci racconta dei suoi sogni, delle sue ricerche e della sapienza di cui era depositaria. Una voce a cui fanno eco una pluralità di storie e di esperienze che, ci auguriamo vivamente, possano scrivere un finale diverso.



Divine! Il talento delle donne in mostra a Milano


All’interno del lungo ciclo espositivo “il talento delle donne” il Comune di Milano ha dato un esempio encomiabile nella esplicitazione dell’indagine del fenomeno femminile nell’arte dal barocco, al manierismo fino alle avanguardie storiche, russe in primo luogo.

“Le donne sono la vite su cui gira tutto”

da un’epigrafe di Lev Tolstoj


Anni Albers, l’allieva del Bauhaus che abbracciò il telaio come strumento creativo.

Sì, è esplosa a new Bauhaus Revolution, sull’onda della call lanciata dall’Unione Europea, a cui fa eco il fortunato libro dedicato a Ise Frank “La Signora Bauhaus” riportata in vita dalla scrittura di Jana Revedin.  


Lea Vergine. Essere e parlare l’avanguardia, in Italia, 40 anni fa

E il tema più sofferente e sofferto tra questi è forse proprio certamente la condizione delle donne, che ha conosciuto un’evoluzione positiva in termini complessivi, ma che almeno in Italia sconta ancora arretratezze che vanno dal medievale al postmoderno, fino al tritacarne mediatico che tutto uniforma e banalizza.

Così che saranno all’ordine del giorno polemichette sul genere nella lingua italiana, generosi quanto ipocriti rilanci del ruolo delle donne architetto e/o designer (nei fatti, ridotte a una minima percentuale nel grande professionismo che detta le regole dell’architettura e dell’ambiente costruiti), lamentazioni e perorazioni di una letteratura “femminile” solo nella visione puramente commerciale dei marketing manager di case editrici, e così via.


L’anima “ludica” del Bauhaus secondo Alma Siedhoff-Buscher


Una riflessione sul design “pedagogico” prende l’abbrivio da un’insolita collezione di giocattoli pensata negli anni Venti da Alma Siedhoff-Buscher; un’esperienza formativa nutrita dal fecondo rapporto tra artigianato e industria, discipline artistiche e produzione industriale, innovazione tecnologica e elaborazione teorica. 


Lucia Moholy: lo sguardo femminile che immortalò il Bauhaus


Due grandi occhi chiari interrogano l’obiettivo, è lei: Lucia Moholy, fotografa pioniera, che ha raccontato per immagini la vita e le opere della famosa scuola tedesca del movimento moderno di cui, altrimenti, non avremmo testimonianze così nitide. Un mondo in “bianco e nero” che sembra giocare, per contrasto, con la profonda sensibilità cromatica e la ricerca sui colori primari e secondari che contraddistingue uno dei principi del Bauhaus (ricordiamo i rivoluzionari giocattoli di Alma Siedhoof-Buscher o le vivaci trame dei tessuti di Anni Albers).


Donne e architettura, qualche secolo di discriminazioni, derisioni, incomprensioni, isolamenti e luoghi comuni

Solo poche righe per iniziare a raccontare la storia grande (a puntate) di una piccola sequenza di donne-architette, “architettrici” che sono riuscite ad affermare la propria personalità umana e professionale a ridosso dei secoli passati o che stiamo vivendo.

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Scelte eponime, contrastanti, molto diverse tra loro ma accomunate dalla stessa forza di volontà e passione che le rende tutte figlie e nipoti orgogliose e appassionate di Plautilla Bricci, o Briccia come si firmava, in quanto figlia di Giovanni Bricci.


Perché l’assegnazione del Premio Pritzker 2020 a due architetti – architette – donne fa ancora notizia?

Infrangere il tabù, , quindi possiamo evincere che il tabù ancora esiste e non sono bastati illustri “predecessori” di genere femminile a farlo cadere- in 40 anni di storia sono state solo tre le vincitrici prima di loro, ovvero sua maestà Zaha Hadid nel 2004, Kazuyo Sejima nel 2010 con Ryue Nishizawa e Carme Pigem nel 2017 con Ramón Vilalta e Rafael Aranda ). La battaglia sul campo dell’empowering femminile è ancora accesa e trova nel duo Irlandese due scintillanti, nuove paladine!


La scomparsa di Nanda Vigo, architetto, artista e designer (e nell’ordine che volete voi)

Nanda Vigo ci teneva molto a raccontare quell’humus culturale che l’aveva prodotta e che lei aveva contribuito a creare, in una Milano priva di lustrini al limite degli anni cinquanta, un mondo di enormi talenti brulicava le terre desolate delle avanguardie italiane, cercando sprovincializzare la più grande provincia del mondo: l’Italia.

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Nel cielo stellato di Zaha Hadid

La prima volta che l’ho vista, sarà stato il 1983, era seduta sul pavimento di cemento del suo studio, con attorno due o tre assistenti, davanti ad un pannello di due metri per due, dove stavano dipingendo a tempera(sic!) alcune tavole del concorso del Peack di Hong Kong.

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La stanza era satura del concerto per pianoforte e orchestra n.23 di W.A. Mozart, ma ad un volume soffice, leggero, un vero sottofondo aristocratico.


Lina Bo Bardi, “il Brasile è il paese dove voglio vivere”


Nessuna donna nella storia dell’architettura italiana del XX secolo ha mai raggiunto un’iconicità teorica, un progetto esistenziale, sentimentale e professionale globale come Lina Bo Bardi, la sua parabola cresce, si costruisce nell’ Italia fascista, dalla laurea nel 1939 a Roma, alle prime esperienze milanesi, dove arriva nei primi anni ’40.

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A partire da Gio Ponti con cui si forma e dunque con l’incontro con quello che rappresenta uno dei più importanti critici d’arte dell’epoca, quell’autore della “tavola degli orrori” che nel 1933 mette alla berlina le forme più accademiche dell’architettura italiana, naturalmente inascoltato.


Dannati Architetti, un podcast con accento al femminile

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Eileen Gray, la passione, il delirio e la genialità al potere

Niente è come appare nella tormentata e aristocratica irlandese Eileen Gray, che sia pure come una luminosissima meteora attraverserà uno dei periodi più straordinari ma terribili della creatività europea del secolo scorso.

Tutto, come sempre comincia per caso, e con l’Esposizione di Parigi del 1900, trionfo del progresso in un Ballo Excelsior permanente dove la giovane Eileen respira un’aria che non è un’atmosfera e tocca l’impalpabile gioia di poter partecipare, di essere dentro pur non essendoci in quel mondo che non “pensa ancora cubista”, ma che “respira impressionista”.


Semi di rigenerazione: architettrici

l progetto Architettrici è un progetto ambizioso, che ha come sua ultima finalità la creazione del più grande archivio sul lavoro delle donne nell’Architettura. Un archivio di posizioni biografiche, di documentazione fotografica e scritta, di saggi, articoli, disegni e progetti. Una “Quadriennale” dell’Architettura femminile a respiro globale; in questo senso, fonte preziosissima di notizie e materiali, a beneficio di studenti, studiosi, architetti e storici.

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Esiste un filo rosso che lega le opere delle architettrici nel tempo? Esistono invarianti? Esistono tematiche privilegiate? Si può parlare a diritto di Architettura al femminile, oppure è soltanto un’altra maniera, senza presunzione di genere?


L’amore, il sogno e la storia tra Ise Frank e Walter Gropius

Si incontrano per caso, ad una conferenza all’Università di Hannover, spinta dalla curiosità di un’amica architetta, Walter Gropius ha quaranta anni e Ise Frank ne ha compiuti ventisei.

Non si è mai occupata di architettura ma ha speso gran parte della sua vita a scrivere recensioni ed altro, e la letteratura occupa, oltre all’impiego in una piccola casa editrice di Monaco, le sue giornate.


Patricia Urquiola. Design, rigore, creatività

La sua produzione spazia a 360° dall’architettura al design e ci dà atto della forza della creatività. Gioco e sperimentazione sono due facce della stessa medaglia e permettono di aprire la mente nella percezione della realtà. Come ha sviluppato questo approccio?

Patricia Urquiola – Un buon designer è un buon lettore e traduttore della società. Negli ultimi anni tutto è diventato un po’ più grande, veloce, complesso, diversificato, ma il processo è lo stesso. Penso mi abbia aiutato molto l’insegnamento dei miei maestri. Oltre a credere che la soluzione sia solo alla fine di un processo. Il difficile è rimanere onesti, capire quando spingere e quando fermarsi. Si potrebbe continuare un progetto per sempre, migliorarlo fino all’ultimo secondo, ma bisogna rispettare il tempo per farlo entrare nel mercato.


Giuseppina Grasso Cannizzo riceve il prestigioso Premio alla Carriera In/Architettura 2020

Impossibile da catalogare nelle sovrapposte tendenze del design dell’involucro come beau geste foto/grafico, concentrata in poche opere tanto scarne quanto ben stagliate sul suo paesaggio di elezione, affilata e abbagliante come una lama al sole.

L’architettura di Giuseppina Grasso Cannizzo può anche avvicinarsi al confine con l’arte: come quando, raramente “si espone” a raccontare il proprio lavoro e nel sottile spessore del semplice foglio di carta carica i molti significati di un corpus di progetti che – come lei stessa dichiara – sono  realizzati al 2% e per il restante “archiviati in fase esecutiva”.


Donne e arte per il pensiero forte

Un Museo e una Donna. Joseph Beuys e Lucrezia de Domizio Durini.

La conosco da decenni ed è l’unica persona che mi stupisce ad ogni incontro per la sua imprevedibilità e per la forza che infonde al pensiero e alla sua immutata volontà d’azione, ai progetti e alla sperimentazione culturale.

Lucrezia è un solido geometrico complesso, sfaccettato, pieno di segreti nascosti e di potenzialità ancora inespresse, simile a quando cominciò ad occuparsi d’arte contemporanea, attraverso la sua Galleria, e quindi successivamente, dopo l’incontro fondamentale con Beuys.


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